Qualche settimana fa, un nostro amico lettore (Simone) ci chiedeva di trovare un’alternativa alla rincorsa frenetica e compulsiva della fotografia, magari trovando spazio per iniziative e pensieri legati a proposte (che credo che siano cadute nel frattempo nel vuoto, e si tratta di qualcosa che ha solo 1 anno di vita), come quella della SlowPhoto, presentata nel settembre del 2010 a Savignano Fotografia e firmata da prestigiosi personaggi del mondo della fotografia.
Non so se è un caso – sempre più credo che il “caso” non esista, ma tutto quello che succede sia un disegno che non riusciamo a vedere, ma che c’è – ma proprio oggi mi metto a trattare questa tematica, e da 24 ore ho tra le mani un iPhone 4S che avevo promesso di testare per gli amici appassionati proprio dal punto di vista fotografico, ma non sono riuscito a concludere ancora questo lavoro (se volete, qui c’è una prima foto, che già è sufficientemente impressionante). Pur leggendo che la filosofia del “manifesto” che sta alla base di questo movimento culturale non si basa sul confronto tra digitale e analogico, tra fotocamere “serie” e “cellulari”, credo che alla fine in molti cadano in una forma di razzismo spontaneo, anche quando non lo ammettono.
Credo che la “lentezza” sia un elemento che goda di maggiore credito di quello che in realtà meriti, al giorno d’oggi. Io sono probabilmente compulsivo e stressato, vivo in corsa ma non per questo reputo di non mettere passione e testa in quello che faccio. Anzi. Non credo che la qualità sia legata al tempo che si dedica alla sua “produzione”, e ancor meno al mezzo che si usa per la produzione. Ci sono menti che hanno bisogno di tempo per individuare la strada giusta, e altre che hanno bisogno di pochi istanti: è il risultato che conta.
Si da troppo valore al “tempo” quando invece dovremmo parlare di intensità. Meglio un percorso lungo, per poter assaporare ogni dettaglio, oppure un momento veloce ed intenso, che fa esplodere una bomba di emozioni tutte insieme? Non so rispondere per tutti, io non ho dubbi per me: io scelgo sempre e comunque la seconda soluzione. Collegandoci al termine che è stato poi riadattato per la fotografia, ovvero lo “Slow Food“, io contesto l’adorazione per la lentezza a tavola: non sopporto stare tre ore seduto ad un tavolo, dovendo attendere 40 minuti tra una portata e l’altra. Preferisco assaporare i cibi con ritmi più veloci, e poi fare altro. Alzarmi, respirare, guardare…
Ci sono viaggi da consumare con lentezza: leggere un libro, parlare per tutta la notte con una persona con la quale ci sono tante affinità, e anche pensare ad un progetto, costruirlo, inventarlo. Ma quando si passa all’azione (scattare una fotografia, scrivere un articolo, costruire una casa) la cosa migliore sarebbe quella di completare l’opera velocemente. Veloce non è necessariamente (anche se a volte è così) sinonimo di frettoloso: si può fare un lavoro lentamente e fare comunque una schifezza, si può consumare un pasto in 6 ore e mangiare delle schifezze.
Chi spinge verso l’elemento “slow” in realtà è innamorato del “durante”, più che della conclusione, del percorso più che della destinazione. A volte, addirittura, il risultato per queste persone non conta nemmeno: basta parlarne, a lungo, poi se non si arriva in fondo non è un problema. Posso capire, ma non condividere. A me piace raggiungere i risultati, e se i mezzi (per fare un banale esempio: l’uso della pellicola al posto del digitale) non mi consentono di arrivare velocemente al risultato che desidero voglio considerare sempre e in modo critico se tale percorso è davvero utile e fondamentale, se mi porta davvero ad un risultato migliore. Amo cucinare, amo mangiare bene e penso di essere abbastanza esperto di “gusto”, so quindi che ci sono piatti che richiedono tante ore per la loro preparazione (un brasato non si può cuocere per pochi minuti, il pomodoro per il sugo diventa più buono se si allunga la cottura), ma un piatto di pasta o di carne non diventa più buono se ci metto un’ora per mangiarlo (anzi, si raffredda), e nemmeno diventa migliore se devo attenderlo seduto ad un tavolo per ore. Se vedo qualcosa che voglio fotografare, perché mi ha stimolato e incuriosito, non voglio fare eccessive valutazioni, voglio scattare e catturare la mia emozione visiva. Se in quella frazione di secondo non sono in grado di valutare tutti i parametri della composizione, dell’analisi di tutti gli elementi di disturbo o di forza, se non riesco ad individuare l’angolo e la prospettiva giusta, se non riesco in un lampo a mettere a fuoco non solo il piano di messa a fuoco, ma specialmente quello che voglio realizzare e trasmettere, allora vuol dire che non sono un fotografo capace. Perché spesso più si studia un’immagine, più si perde in naturalezza e spontaneità, anche se ovviamente ci sono fotografie che devono essere costruite, ma questa non è una filosofia, è un fatto concreto.
Il mercato ci chiede di essere veloci. Questo significa che dobbiamo essere in grado di pensare e operare velocemente, ma non “meno bene“. E’ un percorso evolutivo dell’essere umano. Cento anni fa si “consumavano” all’anno le immagini che noi oggi consumiamo forse in un giorno. Non si più rallentare questa verità, e se usiamo i processi di pensiero che si usavano cento anni fa non riusciremo ad ottenere risultati e spazi adeguati. Dobbiamo analizzare, pensare, creare, produrre, distribuire la nostra creatività, quello che abbiamo da dire in tempi veloci.
La lentezza, il gusto dell’attesa, la meditazione sono elementi preziosi, che non spariranno (anzi), ma che per esistere, per poterli assaporare nel modo migliore, ci obbligano ad essere ancora più veloci in tutto il resto. Se vogliamo avere tempo per noi, non possiamo cadere poi sui dettagli meno importanti (come quelli di seguire per esempio processi di produzione lenti), non possiamo non usare tecnologie veloci ed efficienti (ho appena fatto un upgrade al mio computer, 8Gb di Ram e un super HD che contiene una sezione SSD che rende l’accesso velocissimo ai dati e una sezione molto capiente per lasciare tanto spazio libero per far viaggiare un portatile che inizia ad essere vecchiotto alla grande… e in questo modo posso avere più tempo per creare, e meno per attendere le sue reazioni). E forse avrò qualche istante in più per vivere, per rallentare, per pensare, per creare. Per cucinare qualcosa di buono…