Perché la migliore rivista digitale al mondo ha chiuso? A distanza di un mese dal lunghissimo articolo di analisi che abbiamo pubblicato su JPM7 basato sulla domanda “Le riviste digitali sono morte?”, echeggiato negli USA, chiude la più azzeccata e citata rivista digitale, The Magazine, nata dalla mente di Marco Arment (per capirci, l’inventore di Instapaper). Come fa a scomparire quella che era il simbolo di una nuova forma di editoria “paperless”, un modello di business mirato ai contenuti, alla leggibilità su tutti i device, alla leggerezza del “peso” di ogni numero (pochi Mb e non centinaia di Mb)?
E’ un colpo al cuore: siamo stati tra i primi ad abbonarci, a credere a questo progetto ben prima che diventasse famoso, a far parte di quella scommessa, lanciata proprio da Marco Arment il primo giorno di lancio (diceva: “Se sarà sostenibile, si andrà avanti… se no ci si fermerà”). Abbiamo indicato The Magazine a tutti coloro che vogliono entrare in questo settore ancora “baby” dell’editoria digitale, o che stanno studiando per entrarci, come un esempio per capire che le “riviste digitali” non necessariamente sono piene di bottoni e di effetti speciali; che possono essere “speciali” anche senza gli “effetti”. Eppure, sta chiudendo. Personalmente ho seguito meno The Magazine dopo l’uscita di Arment, che ha venduto il progetto all’imprenditore Glenn Fleishman più di un anno fa, ma si percepiva da tempo la parabola discendente di questa avventura, e non ci ha stupito questo annuncio. E, secondo noi (ma si tratta di opinioni personali) il problema non è solo la difficoltà del marketing per far conoscere e “ricordare” la rivista, come ha dichiarato l’editore. Si, il problema esiste: non ci sono edicole che funzionano sul serio nel mondo digitale (l’app “Edicola” di iOS è uno dei progetti di marketing meno riusciti della storia di Apple), e quindi è difficile far sapere che ci sono riviste interessanti, quindi o si accetta di fare una seconda attività (un sito, un blog, social oppure tanta, tanta pubblicità) per supportare la popolarità della “prima” (fare la rivista) o si rischia l’oblio (ma qual è l’attività che oggi permette di creare una seconda attività priva di ritorno solo per far decollare la prima?): è un problema che viviamo anche noi, in prima persona, con JPM, la nostra rivista per iPad, con un problema aggiuntivo, ovvero che siamo in Italia dove la situazione è ancora più complicato.
Da mesi, però, noi stiamo meditando sul futuro delle riviste digitali: per noi non è un argomento da bar… è questione di sopravvivenza diretta e anche etica nei confronti delle centinaia di giovani che ogni anno portiamo ad approfondire questo mondo nelle università italiane e di tutte quelle realtà professionali che supportiamo con consigli e consulenza in questo settore, che pur in piccolo abbiamo contribuito a costruire. E c’è la sensazione che ancora non si è inventata la formula delle “riviste del futuro”. Abbiamo lottato per spostare l’attenzione dalla struttura grafica delle pagine di carta, per far capire che la leggibilità e la fruizione delle informazioni su uno schermo richiedono strategie e impostazioni (e anche contenuti) molto diversi. Ma questo insegnamento non basta: bisogna parlare di ruolo delle riviste, del come trasformarle in una esigenza o in un desiderio concreto, il dialogo sul “come farle?” e anche sul “come venderle?” sta lasciando indietro la domanda vera, che è: “perché farle?”.
Siamo arrivati ad un bivio: le riviste digitali devono essere ben più che “ben fatte” e molto più che “evolute”: lo dimostra la chiusura di The Magazine, ma ci sono tanti altri esempi che hanno puntato su effetti meravigliosi e su idee innovative. Devono rispondere ad un’esigenza del mercato. Se guardiamo il mercato delle APP (che è in grande evoluzione: si prevede che il 2014 chiuderà con un fatturato di 8,5 miliardi di dollari, rispetto ai 6,9 miliardi di dollari del 2013), ci accorgiamo che si comprano tantissime app, ma i soldi vanno altrove. Bisogna inseguire questo percorso, per quanto possa essere forse cinico, il percorso dei soldi è sempre la strada più facile per analizzare il successo di un progetto. Si sa, il successo delle APP sono principalmente legate al settore dei Games, e questo non vuol dire che le riviste debbano diventare dei games… ma che devono imparare moltissimo da questo settore. Anni fa, una manager del settore dell’editoria dei libri mi disse che il loro principale concorrente nello sviluppo di libri interattivi e multimediali non erano gli altri editori, ma gli sviluppatori di giochi. Sante parole, anche se poi purtroppo questa acuta visione non ha portato ad un contro attacco da parte della casa editrice in questione.
La tristezza di perdere un bel progetto editoriale come The Magazine è mitigata dal fatto che ancora una volta questo progetto ci indica una strada: ci ha spiegato come fare le riviste digitali, e ci ha spiegato – chiudendo – come non farle per avere successo continuativo. Da questa perdita è possibile trarne delle importanti conclusioni: qualcuno penserà che è meglio “non fare riviste digitali”, e in questo ci farà un favore, lasciando il campo a chi avrà più coraggio e specialmente più visioni. Un’altra conclusione è invece di seguire un’altra strada, ed è quello che abbiamo intenzione di fare noi, e di aiutare editori, aziende, professionisti e studenti a trovare la strada giusta.