Il fotogiornalismo è un settore in crisi, spesso si parla addirittura del suo tramonto. Si, addirittura più che altri settori della fotografia, che pur non stanno bene. Potremmo arrivare a dire che un settore pur in grande crisi, come quello della fotografia di matrimonio, sembra essere la “scappatoia” di molti fotoreporter che si trovano – da anni, ma sempre di più – senza un lavoro. Alcuni cambiano totalmente mestiere, si riciclano (alla fine, non è poi obbligatorio fare i fotografi) in altri ambiti e altri proseguono stoicamente, magari con l’aiuto di un familiare che porta a casa uno stipendio fisso e che quindi garantisce una sopravvivenza o almeno la temporanea sicurezza di pagare le bollette.
Di recente abbiamo discusso sulla possibilità di superamento della crisi del fotogiornalismo, ma oggettivamente è difficile trovare una risposta. Almeno non nelle aree già battute e nelle strade già seguite in passato. Cosa possiamo fare per aiutare questa che è, secondo noi, più di una categoria, visto che il fotoreportage è parte importante di una cultura e di un modo di raccontare storie ed esperienze, fatti ed emozioni che sono nella nostra storia e che ci serviranno anche nel futuro?
La risposta non è facile, perché in questo caso non si tratta di una semplice operazione di ricollocamento strategico, come è necessario in tanti altri settori vicini al nostro mondo; c’è l’esigenza di reiventarsi, perché non è cambiato solo il mercato, che si è impoverito, non è cambiata solo la fruizione dei contenuti (anche ieri, ho avuto modo di chiedere ad una tribù di giovanissimi che rapporto hanno con le riviste… la risposta la conosco già: nessun rapporto), ma per di più non esistono più clienti in grado di comprare il prodotto “fotogiornalismo”, perché non sanno più come monetizzarlo. Certo, ci sono eccezioni, ma spesso solo di facciata, solo perché non hanno ancora tirato i remi in barca, magari perché rimangono aggrappati a dei meccanismi che ancora non sono crollati, o anche solo a qualche finanziamento pubblico.
Non siamo abituati però a gettare la spugna.
Sembra che, ovunque guardiamo, non ci sia una scappatoia. Le agenzie che si occupano di fotogiornalismo, prime tra tutti, sono in crisi, e nel tentativo di sopravvivere operano con un’azione commerciale che porta a delle “alleanze” che si basano su una distribuzione aggregata; pur di mantenere il cliente editore e il suo abbonamento annuale, finiscono con il proporre un pacchetto “globale” che include un po’ di tutto (la loro produzione e anche quella degli altri), ma questa è una politica che impoverisce ancora di più il settore; un approccio che non critichiamo, ma che oggettivamente toglie opportunità, dinamicità, risorse (ma che probabilmente è inevitabile, viste le difficoltà). Le condizioni e le tariffe del pubblicato vengono sempre più determinate a monte (abbiamo sentito parlare di 36 euro a foto pubblicata se nazionale e 18 euro se locale), e queste condizioni si possono solo accettare, oppure si deve decidere di uscire dal giro. In questo ultimo periodo sono girate lettere destinate a centinaia di fotografi dove gli editori ringraziano per il lavoro svolto, ma segnalano che non hanno più bisogno del loro materiale, chiudendo di fatto la porta dei server ftp per raggiungere le redazioni. Perché? Perché nelle redazioni non solo non ci sono più soldi, ma non c’è neanche il tempo per vedere le tante, tantissime (troppe?) fonti di immagini. Si usa una fonte unica, che propone lo standard, che si è accordata per un abbonamento annuale, e poco importa se poi tutti usano le stesse fonti e, di conseguenza, le stesse immagini.
Il panorama del fotogiornalismo non è facile da modificare
In questo c’è anche un atteggiamento che spesso è stato di chiusura, come se fosse un settore che può vivere come una “questione a parte” all’interno del panorama. I fotoreporter non si sono mischiati con altri professionisti, dai quali avrebbero forse potuto percepire qualche mutazione utile, e al limite hanno cercato di avvicinarsi al mondo dei giornalisti, compagni di viaggio e garantiti dal punto di vista lavorativo da contratti e vantaggi più solidi; la casta dei giornalisti è però rimasta tale, quella dei fotogiornalisti non è riuscita a fare altrettanto. A questo, inutile dirlo, è arrivato l’uragano dell’informazione “social”, che ha prodotto un canale di informazione di fotogiornalismo alternativa a quella mainstream e si può dire tutto meno che manchi informazione, visuale o testuale, semmai il contrario.
Non sappiamo se abbiamo messo nero su bianco tutti gli incubi del fotogiornalismo, probabilmente ne abbiamo omessi molti, ma crediamo che siano già questi sufficienti per condividere il terrore nei confronti del futuro. Tutte porte chiuse, sbarrate, condizioni che non permettono di guardare lontano, ma neanche vicino vicino. A tal punto che di questo dramma non si parla, non si discute (se non all’interno della stretta categoria), non ci sono eventi e occasioni per trovare alternative. Forse perché non ci sono? No, secondo noi ci sono, ma forse non interessano. O forse perché non si vuole illudere nessuno. Sembra un’eutanasia, inevitabile; si cerca nel silenzio di renderla più dolce.
Beh, credete quello che volete, ma noi non ci arrendiamo mai.
A volte è sintomo di stupidità, lo ammettiamo; ma vogliamo rischiare.Vorremmo aprire il dialogo con chi si occupa della categoria del fotogiornalismo, per trovare delle strade, se riusciamo a coinvolgere tante persone potremmo organizzare un incontro, e potremmo cercare e sviluppare della formazione specifica per imparare a trovare modi per vendere il prodotto che realizzano in modo diverso, creare delle alternative, cambiare il business model. Ci sarebbe tanto da dire, e non solo di cercare di farsi forza insieme creando delle iniziative (ce ne sono tante) che pur lodevoli non portano a nulla perché generano intermediari (nuove “agenzie-diverse”, nuovi “aggregatori” di immagini e di contenuti), e nell’era digitale gli intermediari sono destinati a scomparire.
Stiamo raccogliendo molte idee, esperienze, visioni. A breve confezioneremo qualcosa all’insegna del fotogiornalismo, magari in collaborazione con chi vuole dare un contributo concreto, serio, utile. Se volete, fateci sapere, commentando, oppure inviandoci una mail direttamente se volete dare un contributo personale e privato. Vi faremo sapere ;-)
Giulio Riotta says:
Quanto, in tutto questo, ha influito la mancanza di un albo che riconoscesse e tutelasse noi fotografi professionisti?
Luca Pianigiani says:
In parte lo ha fatto. Ma purtroppo anche questo tipo di “difesa” non sarebbe stata sufficiente. Quando un mercato crolla, crollano anche le regole…
federico tovoli says:
……ma se giranfo fra app store c’e’ pieno di apps di edicole e c’e’ pieno di riviste da comprare. piene di pubblicita’ , com’e’ che son finiti i soldi? vabe’ tutti ci documentiamo online e la maggior parte dei non addetti ai lavori una volta pigliava per buone le realta della televisione e adesso quelle dei social. Pero’ nelle riviste che consulto abitualmente non vedo foto srubazzate in rete….sara’ mica che vusto che non vivo in Italia, stia parlando solo di grande stampa internazionale?
Edoardo Agresti says:
Ciao Luca è un po’ che non ci sentiamo ed è altrettanto tempo che avrei voluto scriverti. Prendo l’occasione da questa tua riflessione per scriverti due parole.
Il fotogiornalismo è ormai morto e non nel ‘viale del tramonto’ come scrivi e non credo – ma non sono l’unico a pensarlo – che ci sarà una sua rinascita. I tempi sono definitivamente cambiati e un ritorno al passato, anche in forme diverse, è ormai impossibile.
Quello che invece volevo smitizzare è il fatto che la fotografia di matrimonio sia un bene rifugio dove i fotoreporter si possono riciclare. Già nell’incontro di Firenze, da te promosso, si è spinta questa prospettiva e qui in qualche modo viene auspicata. Non è così. Bisognerebbe sconsigliare di buttarsi in questo settore e non consigliare. Basti pensare che il numero delle coppie che si sposano è drasticamente sceso negli ultimi anni e la tendenza è verso un ulteriore calo. Molti si fanno fare le foto da parenti e amici ma, paradossalmente, con questi spot sul ‘andate a fotografare i matrimoni’ il numero di fotografi che si buttano in questa avventura sono aumentati a dismisura. Non solo, data la percezione diffusa che fotografare i matrimoni oggi con il digitale sia veramente una cosa semplicissima si è alimentato pesantemente l’abusivismo e molti, pur avendo un altro lavoro, su buttano a fare matrimoni avendo però le spalle coperte da un’altra attività.
Bisognerebbe invece sottolineare che in un futuro molto prossimo anche la figura del fotografo professionista in generale e nel matrimonio in particolare scomparirà o quanto meno si ridurrà drasticamente. Ci sarà una pesante selezione naturale che vedrà restare sulla breccia soltanto quelli veramente bravi che si divideranno però una fetta molto piccola di un mercato di alto e altissimo livello.
Basta con fare spot sulla fotografia di matrimonio, basta creare illusioni, basta lanciare messaggi che fanno di questo settore una panacea alla crisi.
Un caro saluto e un abbraccio
Luca Pianigiani says:
Ciao Edoardo, ben ritrovato.
Non so dove leggi tra le mie righe il consiglio di “buttarsi” dalla fotografia di reportage a quella di matrimonio. Ho detto, al contrario che pur in crisi, alcuni cercano di trovare nella foto di matrimonio una soluzione, ma faccio capire che questo atteggiamento, pur riscontrabile sul mercato, NON è la soluzione (è come cadere dalla padella alla brace).
Non mi pare che tu sia stato presente a Firenze, probabilmente no, perché se no avresti ascoltato consigli che portavano proprio a confermare quello che dici, ovvero che se non si lavora ad alto livello si chiude.
Non è nostra abitudine promettere falsità e dare illusioni, solo strategie per uscire dai problemi, ed è quello che continuiamo a fare.
Buona giornata a te :-)
Edoardo Agresti says:
Scusami Luca forse allora ho capito male quel ‘sembra una scappatoia’ l’avevo interpretato come un’alternativa su cui buttarsi. Mentre per la manifestazione di Firenze mi sono confrontato con persone che vi hanno partecipato e che mi hanno riportato – evidentemente mai fidarsi di quello che ti viene detto – che, soprattutto nell’intervento di Benedusi, si consigliava di incrementare il proprio business andando a fare i matrimoni. C’è magari on line la possibilità di ‘vedere’ il Jumper day di Firenze?
Un abbraccione
Luca Pianigiani says:
Benedusi ha detto che se uno “è davvero bravo” può anche trovare sbocco anche nella foto di matrimonio (per dire che non ci sono settori più o meno di valore). Ha anche detto che lui non è capace, anche se ha mostrato un servizio di copertina di White dove ha simulato un matrimonio (fotografato con iPhone e ipstamatic).
A parte le opinioni dei fotografi invitati a parlare (due dei tre volutamente NON erano Fotografi di matrimonio, proprio per aprire gli occhi sulla necessità di confronto con altre categorie di fotografia) gli interventi di orientamento erano i miei e vertevano sulle strategie del fornire un prodotto di altissimo livello, partendo dalla vetrina e finendo all’album.
Tutta la giornata di Firenze è stata ripresa e sarà presto disponibile su Jumper premium e nell’area clienti di MiròAlbum. :-)
Giacomo says:
Questa discussione capita proprio mentre riflettevo su quello che ho fatto in questi giorni. Abito in una delle città della Sardegna che sono su tutti i giornali per l’alluvione. Non lavoro per nessun giornale locale quindi Ho fatto il mio servizio per l’agenzia con cui lavoro abitualmente, una piccola agenzia estera. Il giorno dopo mi ha contattato un’altra agenzia nazionale e mi ha offerto un assignment per la copertura a prezzo fisso anche se in genere lavorano a pubblicato. Non molto ma Tutto sommato una cifra onesta. Ho poi verificato su google cosa e’ successo con le mie foto. All’estero non ho pubblicato nulla, lavorano solo le agenzie del Pool che hanno le foto dei fotografi delle testate locali e quindi tutte le testate nazionali e estere hanno le stesse foto. In Italia ho pubblicato qualcosa ma solo su media secondari. Anche qui i maggiori media hanno utilizzato in prevalenza le foto del pool e dell’Ansa che il giorno dopo il disastro ha inviato i suoi fotografi. Risultato: pur con un evento di primo piano, se non avessi avuto un incarico, probabilmente non avrei guadagnato quasi nulla pur avendo lavorato parecchio. Ho 35 anni, Ho iniziato 3 anni fa a realizzare servizi per le agenzie e posso dire con sicurezza che con il fotogiornalismo oggi non ti campi. Il mio sogno era fare il fotogiornalista, ho studiato per questo ma oggi non vedo alcuna prospettiva se non forse riuscendo ad entrare in una delle grosse agenzie, che però hanno le porte chiuse. Anche io ho dovuto ripiegare nel settore matrimonio e commerciale, che almeno mi consente di pagare le bollette… per ora.
Flavio says:
Questa volta sono piuttosto critico.
Tutti abbiamo avuto modo di vedere cos’è successo in Sardegna pochi giorni fa, i telegiornali hanno fatto informazione gratis, hanno trasmesso i filmati delle persone che, trovandosi sul posto e hanno ripreso con il loro telefonino quanto stava accadendo. Ostinarsi può essere una soluzione, Edison ha dovuto effettuare più di 10.000 tentativi prima di far accendere la lampadina…però la lampadina fino ad allora non si era mai accesa. Siamo in tanti a fare qualcosa che vogliono ormai in pochi e non è possibile che ci sia uno spazio per tutti. Vedo molti, molti giovani che vogliono fare i fotografi, partono con tutto l’entusiasmo possibile poi si scontrano con le difficoltà di CAMPARE con questo lavoro che finiscono tutti per mettersi a fare i matrimoni, tra l’altro a prezzi da paura. Ci sarà una selezione naturale e i migliori, quelli bravi a scattare e bravi a vendersi, continueranno a lavorare. Dici che hai ricevuto molte idee, racconta quali, selezioniamo le migliori e cerchiamo di portarle avanti, altrimenti diventeranno come le tariffe delle compagnie telefoniche, ormai ce ne sono così tante che non ci si capisce più niente.
Luca Pianigiani says:
Mi sembra che in tanti anni abbiamo lanciato tante buone idee, che hanno aiutato tanti a proporsi e ad orientarsi meglio all’interno del mercato, in particolare nella foto di studio, di pubblicità, di moda, nel video, nell’editoria, nella foto di matrimonio (e continueremo a farlo). Per molti motivi ci siamo occupati meno di fotoreportage, e anche in questo settore abbiamo deciso di dare un nostro contributo, che si vedrà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.
Abbiamo aperto il discorso per vedere se arrivano contributi, per ora arrivano solo pensieri di chiusura, e questo mostra quanto il settore ha bisogno di nuove idee e nuove prospettive.
È quello che daremo, sviluppando gli studi e le ricerche che stiamo ultimando. Se saranno solo le nostre queste idee, speriamo possano essere sufficienti e comunque buone. Se ci saranno contributi di altri (costruttive e attuabili) saremo contenti di ospitarle. Ma di sicuro noi ci muoveremo, l’immobilismo non fa parte del nostro DNA.
Flavio says:
E un po diverso o meglio, dico una cosa diversa. Tu guardi in che direzione si muove il mercato, guardi che soluzioni nuove si possono mettere in campo e ci rendi artecipe di questo e il mio nuovo sito ne è un esempio. Volevo dire che lo si voglia o no il settore è cambiato cosí tanto che certe specializzazioni non sono più cosí interessanti. Mi piacerebbero delle proposte nuove non tanto da te ma da noi. Tutta questa cavolo di tecnologia non può essere il solo metodo per misurare la nostra professionalità. Mancano le idee non le tecnologie e per idee non intendo studiare regole per impedire al gommista che conosco di fare i matrimoni al sabato e la domenica…o cose del genere. Voi un esempio? Fotografia per non vedenti, ci sto lavorando da oltre due anni, non esiste un precedente…quella lampadina non si è mai accesa, la lampadina del fotogiornalismo è scarica, va sostituita ma resterà una lampadina vecchia, superinflazionata, che costerà pochissimo.
Luca Pianigiani says:
In realtà diciamo cose simili, invece.
Che poi io sia più esperto nel vedere un settore rispetto all’altro, questo è un limite o una caratteristica. Proprio per questo ho aperto il dialogo, per vedere se nascono idee nuove da condividere, e possono essere – questo si – idee che possono trovare spazio qui dentro, magari con il contributo di tutti.
Ho seguito in parte degli studi per la comunicazione per non vedenti, con un professore che ne stava coordinando un progetto. Se questo è assimilabile al mondo del fotogiornalismo, non so, ma siamo aperti al dialogo e all’incontro.
Il “nuovo” comunque non è fatto solo di innovazione tecnologica, non lo penso di sicuro. Certo che è più facile trovare nuove strade usando nuovi media, e di conseguenza serve avere digerito e studiare molto in questo senso. Ma non c’è mai un senso unico ;-))
Flavio says:
Non so quanto la fotografia per non vedenti possa influire nel fotogiornalismo, di sicuro potrebbe influire in tutti i campi della fotografia, dell’arte e della comunicazione. Questo tipo di fotografia non va “solo” vista, va per forza pensata. Quest’anno mi ero prefissato di realizzare la prima mostra fotografica per non vedenti ma l’azienda che si era resa disponibile a darmi un supporto (l’uso di una fresatrice) non si è comportata molto bene e sono saltati tutti i programmi. Ora, grazie tra l’altro ad una fotografa, Marianna, sono in contatto con una persona che ritiene di potermi dare il supporto che mi serve per raggiungere lo scopo.Se vuoi ti terrò aggiornato sullo sviluppo di questa idea. Appa prossima, e ricordati li leggere le mail che ti mando :)
Giacomo says:
Prima ho scritto di aver “ripiegato” nel matrimonio ma ho usato una brutta parola. Non è stato un ripiego, almeno non del tutto, perché il matrimonio inteso come reportage invece mi sta dando diverse soddisfazioni, che ripagano almeno un po’ la frustrazione di non poter fare fotogiornalismo di informazione a tempo pieno, cosa che comunque ritengo non sia più possibile, non se si vuole restare qui in Italia. Non credo nemmeno in surrogati dei giornali perché comunque trovare un editore per un libro o fondi per realizzare app o riviste digitali autoprodotte e’ ancora più difficile. Si accettano idee :-)
Beppe says:
Ciao ragazzi, dovrei solo ascoltare, visto che mi occupo di fotografia di architettura, ma due cose le devo assolutamente dire, dal mio osservatorio.
1- Non c’è più posto per tutti.
2- Luca, non ha mai divulgato illusioni, semmai il contrario, ma ha sempre avuto la capacità di accendere lampadine collaterali, che anche personalmente mi hanno dato sempre molti spunti.
Se non abbiamo la consapevolezza del nostro saper fare, alla luce dei tempi nostri, siamo spacciati. La fotografia in generale sta traballando, ma le esigenze nuove esistono sempre.
E’ tutto molto veloce e, purtroppo, spesso si deve tener conto del punto n° 1.
Vorrei incoraggiare tutti, allegando l’inizio della biografia di Salgado. Ognuno di noi ci legga i propri spunti. Grazie a tutti
“Dopo una formazione universitaria di economista e statistico decide, in seguito ad una missione in Africa, di diventare fotografo. Nel 1973 realizza un reportage sulla siccità del Sahel, seguito da uno sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati in Europa. Nel 1974 entra nell’agenzia Sygma e documenta la rivoluzione in Portogallo e la guerra coloniale in Angola e in Mozambico. Nel 1975 entra a far parte dell’agenzia Gamma ed in seguito, nel 1979, della celebre cooperativa di fotografi Magnum Photos. Nel 1994 lascia la Magnum per creare, insieme a Lelia Wanick Salgado, Amazonas Images, una struttura autonoma completamente dedicata al suo lavoro. Salgado si occupa soprattutto di reportage di impianto umanitario e sociale, consacrando mesi, se non addirittura anni, a sviluppare e approfondire tematiche di ampio respiro.”
Roberta says:
Luca, non so perché ma ho sempre creduto nella mia vita in un semplice e ben noto aforisma: ” nulla resta immutato, tutto cambia, tutto si evolve”. Credo valga per tutti noi, per tutte le fasi dell’esistenza umana, in ogni spazio temporale. Non mi occupo di fotogiornalismo né di matrimonio. Dunque non credo di poterti aiutare, concretamente. Ma resto un’osservatrice attenta e curiosa delle direzioni, velocità o rallentamenti che il nostro mestiere sta prendendo. E credo che il vero stop, quello definitivo, avvenga solo quando il cuore di un fotografo non batte più, con sensi metaforici annessi e connessi. Fino a quel momento, tutto si muove, tutto si frammenta e si ricostituisce prendendo altre direzioni ed altre velocità. Non ho mai sentito “dentro” di me, frasi ridondanti tipo “la fotografia di xxx è morta” o “è finita per i fotografi di yyy”. Li considero titoletti da riviste di terz’ordine. Credo che se un settore professionale è in crisi (come tanti altri in questo momento) sia necessario sviscerarne prima di tutto i motivi, poi farsene serenamente una ragione, comprenderla ed accettarla come naturale evoluzione di quel settore, e subito dopo individuarne gli eventuali sviluppi e diramazioni che possono rinascere proprio da quel settore specifico. E’ come smontare un giocattolo per poi rimontarlo: puoi rimontarlo sempre nello stesso modo o dargli nuove forme. In tutto questo flusso di lavoro, credo non ci sia spazio né tempo, per il lamento fine a se stesso. Tutte le energie dovrebbero essere convogliate in una lucida auto-valutazione del proprio stile, delle proprie competenze, delle proprie risorse a cui attingere. Bisogna dirsi, con serenità ed ottimismo: “sta cambiando il terreno sotto i miei piedi, dove posso andare a seminare?” Spero che da altri colleghi ti giungano concretamente esperienze, testimonianze ed idee che possano permetterti di sviluppare e lavorare al progetto di questo incontro. Con quello stile innovativo che, per nostra fortuna, è nel DNA di Jumper. Ti abbraccio.
Nino Mascardi says:
Ciao Luca,
molto interessante e molto di attualità. Ci sono però talmente tante cose da dire, predire, inventare, ascoltare, cercare di capire che a scriverne può diventare , provare
Nino Mascardi says:
Ciao Luca,
naturalmente ho fatto casino con la risposta e i commenti.
E’ vero, ahimè, tutto quello che dici, molto interessante e molto di attualità. Ma come spesso succede ci sfuggono molti dettagli che possono fare una certa differenza. Ci sono talmente tante cose da dire, predire, pensare, inventare, provare, ascoltare, cercare di capire che a scriverne può diventare un pò pesante.
Perchè non organizzi un pomeriggio di domenica per far incontrare fotografi di tutti i tipi in un posto con tante sedie e che ognuno si porti la sua cocacola e alcuni euro per la locazione (magari a Milano, qui siamo in tanti e ce ne sono alcuni veramente bravi). Potremmo tirare fuori alcune idee, ce ne sono parecchie, sono sicuro, per permettere a chi ha una vera passione di andare avanti con, io spero, risultati decenti.
Molti giovani chiedono consigli su cosa e come fare e da quello che dicono e pensano mi accorgo che c’è un rapporto molto diluito con la verità e le possibilità del mestiere di fotografo. Pensa che i più vogliono diventare fotografi di moda perchè così possono conoscere molte ragazze!!
Comunque grazie per quello che ci dai ogni settimana.
Cari saluti, Nino
Luca Pianigiani says:
grazie a te, Nino. Stiamo pensando in effetti a iniziative di questo tipo. Abbiamo bisogno di incontrarci, tutti. O almeno quelli che hanno ancora voglia e cose da dire e ascoltare. Per ora siamo qua, online, ma presto speriamo anche dal vivo. Un abbraccio! Luca
Vittore Buzzi says:
Carissimi mi permetto di intervenire con grande serenità sia sul fotogiornalismo che sulla fotografia di matrimonio.
Chi mi conosce sa che sono attivo su entrambi i fronti e che sono positivo nei confronti del mio futuro professionale nonostante veda delle dinamiche di mercato che mi portano a essere molto scettico sulla possibilità di chi inizia oggi a preoccuparsi del proprio futuro professionale perchè probabilmente non si sono anticipati i cambiamenti e si stanno subendo.
Prima di tutto la qualità dei vostri lavori deve essere al top perché oggi si compete su scale globale, quindi se è vero che il mercato di riferimento si è enormemnte ampliato è anche vero che la concorrenza è più che centuplicata negli ultimi 5 anni.
FOTOGIORNALISMO
Se non siete ancora diventati editori di voi stessi e non avete dei canali di comunicazione su cui veicolare i vostri lavori e attivare delle modalità trasversali per monetizzare il vostro archivio (vendita di libri,stampe,mostre,sposorizzazioni da aziende produttirci) probabilmente è troppo tardi. Non vi sarà sfuggito che ormai il posto su cui trovare i contenuti di Magnum Photos è il loro blog e la loro pagina Facebook su cui regalano i contenuti che devono necessariamente monetizzare in qualche altro modo.
Io nel mio piccolo ho un discreto seguito mediatico con FB
http://www.facebook.com/pages/Vittore-Buzzi-Fotografo/146792108433
E con la mia piccola agenzia fotografica http://photographer.photoshelter.com/
Ogni mese ragrannello circa 600.000 visualizzazioni uniche.
FOTOGRAFIA DI MATRIMONIO
Ho fatto del mio stile foto giornalistico il mio punto di forza, ritagliandomi una nicchia di mercato nella fascia alta della fotografia di matrimonio http://www.fotografomatrimoni.biz/ distinguendomi da molti altri colleghi come hanno fatto una decina di professionisti in Italia nel corso dell’ultimo decennio.
COSTI FISSI
Ho tagliato completamente i costi fissi mantenedo una struttura agile e snella e associandomi con altri colleghi per quello che rimane della fotografia commerciale e per fornire corsi di fotografia sia a fotoamatori che a colleghi http://www.corsifotografia.it/ ho investito molto nella mia formazione personale in modo dapoter gestire il mio archivio
Vittore Buzzi says:
Scusate è partito il post per sbaglio.
CONCLUSIONI
Mi sono abituato al cambiamento e a cercare di anticipare il mercato, non mi piace ovviamente, preferirei starmene tranquillo ma non è più possibile da anni questo tipo di atteggiamento proattivo è andato consolidandosi… Oggi sono alla ricerca di nuove idee perché riconosco delle dinamiche a cui non mi posso opporre e che posso solo cavalcare…
Spero di avervi fornito degli spunti. Imitare il mio percorso adesso è inutile io sto già cercando nuove strade… e voi?
Sandro says:
IO da anni ho capito che il fotogiornalismo non vende più ma non vende più grazie anche a chi come sempre ha regalato(e mi direte che sono noioso)immagini pur di lavorare per nomi noti che pagavano già poco i fotografi e in compenso si vantavano di essere la “miglior agenzia” o la migliore testata(e non voglio far qui nomi); spesso e volentieri ( e non farò nomi…io mi trovo qui a Firenze ma mi sembra che una nota agenzia di Milano, e non una sola, abbia chiuso i battenti) questi fotografi non erano professionisti bensì dipendenti della grande distribuzione che avevano lo stipednio fisso oppure di enti pubblici che potevano strafregarsi di percepire compensi per le loro foto ..tanto avevano gia uno stipendio..prendiamo lo sport conosco gente che pur di andar allo stadio a fotografare e quindi seguire la partita senza pagare ha lavorato producendo per anni immagini e fornendo il ” la” a riviste, quotidiani ecc che se ne sono approfittate..oppure perchè non parlare di quei fotografi che a suo tempo si sono buttati a capofitto a lavorare per quei quotidiani GRATUITI che poi li hanno lasciati a piedi …avrebbero dovuto pensare che non si possono regalare contenuti(fotografie) prelevandoli da altri (che si dovrebbero pagare) senza che prima o poi si rimanga a piedi..
E oggi quindi nel 2013 perché pagare un fotografo quando tutti ti dicono che tanto..le foto le fa il giornalista(quello che scrive) oppure tanto per scendere anche nel campo video..qui in Toscana anni fa inaugurò una giornalista di una rete locale l’intervista con telecamera su cavalletto (senza cameraman) pur di eliminare il compenso del cameraman…Io credo che ormai non ci si possa far più niente ma se qualcuno ha qualcosa da propormi sarei più che felice di tornare a scattare foto per un quotidiano, una rivista o che altro…CIao a tutti
Alessio says:
Mah… facendo seguito all’intervento di Nino Mascardi e successiva risposta di Luca, perché invece di fare incontri sempre nei soliti posti (signori… il viaggio costa, anche se c’è solo da mettere una cocacola e qualche euro per la location) non si mette in piedi qualcosa di più locale? Tipo far incontrare i vari fotografi e non nelle varie regioni e/o provincie di provenienza?
Luca Pianigiani says:
Ciao Alessio, sono due anni che propongo soluzioni “on the road” proponendo la formula “Rent-a-Camp”, costo molto basso e organizzazione locale. Quasi mai è stata presa al balzo questa idea, quindi mi sembra che non interessa: per me è più impegnativo, ma pur di contribuire e semplificare la vita degli amici “lontani” ero disposto e sono disposto a farlo. Se però non ci sono risposte, quello che posso dire è che proseguiamo la nostra strada, che ovviamente è legata anche alla fattibilità economica per noi. Le strade di incontro devono portare a metà strada… se non come location, almeno come sforzo ;-)
Alessio says:
Chiaro… se non ottieni riscontri giustamente….
Io avevo comunque in mente qualcosa di diverso. Sto organizzando dei corsi e facendo il giro degli Hotel/Ristoranti con sale conferenze/meeting per dei preventivi vedo che praticamente tutti hanno sale complete di proiettori/megaschermi e connessione wifi per videoconferenze.
Per te sarebbe solo questione di trovare il tempo, mentre per i partecipanti si tratta solo di mettere a budget un costo dagli 80 alle 100 euro per un uso della sala di 2 ore.
Sarebbe anche una bella iniziativa per i jumpercamp….. ovvio che devi avere un referente che ti assicura che i partecipanti in videoconferenza sono quelli che ti pagano l’iscrizione all’evento.
Giancarlo B. says:
Salve a tutti, questo è un tema che mi interessa molto e da spettatore di questo sito per la prima volta prendo parte alla discussione. Ho frequentato e frequento il mondo del fotogiornalismo da diversi anni, festival, mostre, letture portfolio e spesso mi sono imbattuto in lamentele che trovavo del tutto fuori luogo. Si scaricava la colpo dei propri insuccessi editoriali su tutta una serie di fattori che per me devono essere il punto di partenza su cui basare la propria carriera di fotografo. D’altronde la fotografia ha superato diverse rivoluzioni e voler rimanere ancorati all’idea romantica del foto-reporter in giro per il mondo con la macchina al collo mi sembra piuttosto anacronistico. Conosco un sacco di fotografi che in qualche modo riescono a restare a galla con i loro reportage ma la parte romantica della loro vita costituisce 1/3 del loro lavoro. Il resto sono pubbliche relazioni fino allo sfinimento, contatti con photoeditor e porte sbattute in faccia. Questo è oggi il lavoro del fotogiornalista e se non ci piace meglio scegliere un altro mestiere. Mi torna in mente il manifesto di una mostra che si tenne a Arles qualche anno fa “from here on” (lo trovate qui http://www.rencontres-arles.com/A11/C.aspx?VP3=CMS3&VF=ARL_3_VForm&FRM=Frame:ARL_7&LANGSWI=1&LANG=English ) credo che li ci sia scritto tutto il cambiamento che la figura del fotografo deve compiere se non vuole diventare marginale. Penso anche (e alcuni esempi che mi circondano ne sono la prova) che il futuro invece possa essere molto interessante, per chi vuole vedere le cose come stanno. Le nuove tecnologie da questo punto cii vengono incontro. Dall’autoeditoria, che sta riscuotendo sempre più successo al crowdfounding credo che ognuno possa trovare la strada per continuare a raccontare le proprie storie. Non dico che sia facile, forse il lavoro da fare è più duro di prima, quando le agenzie funzionavano e le riviste pagavano, ma chi non è disposto a fare questo sforzo davvero dovrebbe cercare un altro lavoro invece di lamentarsi. Forse la vera selezione fra chi va avanti e chi no si baserà sulla determinazione, ma se credete che le vostre storie siano importanti forse ne vale la pena!
roberto says:
Argomento stimolante. Mi piacerebbe avere la pragmaticità degli americani e il loro ottimismo. All’ultimo festival di Reggio Emilia Fotografia Europea, in una tavola rotonda noiosa e piena di cose già sentite, l’unico spunto stimolante e positivo è stato quello di Ed Kashi dell’agenzia VII, il quale, di fronte alla solita domanda riguardante la crisi del fotogiornalismo oggi rispetto a 15 anni fa, ha detto: “15 anni fa non avrei mai avuto a disposizione così tanti mezzi e possibilità per raggiungere il mio pubblico e trasmettere il mio messaggio”.
Poi bisogna che questi mezzi siano remunerativi. E qui si apre la sfida. Ma intanto essere ottimisti aiuta. Un po’ come suggerisce il libro di Roberto Tomesani felici.info
Piccola nota di colore, ma secondo me utile per un confronto “culturale” Usa/Europa: durante Fotografia Europea ho seguito un workshop con un altro fotografo della VII, Donald Weber, anche lui come Kashi premiato al World Press Photo. In un momento di pausa Ed Kashi ha fotografato Weber, casualmente accanto a me.
Dopo aver visto la foto sul suo blog ho contattato via mail Ed Kashi chiedendogli una copia in alta risoluzione della foto per poterla stampare e appenderla tra i miei ricordi.
Il giorno dopo Ed Kashi mi ha risposto gentilissimo e mi ha inviato la foto, pregandomi solo di non usarla per scopi commerciali. Sarà stato un caso, ma ho molto apprezzato la schiettezza e diponibilità del fotografo americano, il suo “non tirarsela”. E mi rimane il dubbio che se al suo posto ci fosse stato un titolatissimo fotografo nostrano, sarei ancora a controllare la posta…
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