Venerdi 12 aprile, presso la sede di Sotheby’s è stata battuta un’asta importante per il settore della fotografia. Sono state esposte stampe di importantissimi fotografi (nomi leggendari come Basilico, Gardin, Fontana, Galimberti, Scianna, Cartier-Bresson, Parr, Erwitt, Salgado e tanti altri: potete leggere la lista intera e il comunicato qui). Il ricavato di quest’asta verrà interamente devoluto alla Fondazione Forma per la Fotografia, per sostenerla e finanziarla.
Bello, no? Una vittoria della “cultura” con la “C”, maiuscola, che in un momento di difficoltà e di massificazione, di mancanza di riferimenti di alto valore e spessore trova risorse al suo proprio interno. Bello…
Eppure c’è qualcosa che non torna. Non metto in discussione l’iniziativa, anzi: se Forma ha (e lo ha, senza dubbio) la credibilità e l’affetto di questi fotografi, della comunità degli appassionati dell’arte fotografica, al punto dall’essere sostenuta e finanziata, questo è un bel segno di riconoscimento, che merita applausi. Però… però se ben andiamo a guardare, la Fondazione Forma non è poi così abbandonata in un mare oscuro, non è “debole”, si trova nella città più “ricca” di occasioni di incontro e di “utenti”, e specialmente sin dalla sua nascita, nel 2005, è stata sostenuta dalla Fondazione Corriere della Sera, dall’ATM (per chi non è di Milano, è la società dei trasporti milanesi) e dall’agenzia Contrasto. Inoltre, tra i partner hanno avuto il supporto di importanti aziende private. Tra tutte le realtà che si occupano di “cultura“, spesso legate alla semplice passione, ad una realtà pressoché underground, senza risorse, si tratta di una struttura con le fondamenta solide. Se è proprio Forma che deve trovare nel finanziamento esterno e sulla disponibilità di artisti e benefattori privati la sua risorsa per sopravvivere, la domanda che ci poniamo è: come possono fare “gli altri”, che oggettivamente non posso considerare “inferiori” per il solo motivo di essere solamente “più piccoli” (la qualità della proposta culturale non si dovrebbe misurare in “muscoli” e in “dimensioni”, ma in capacità propositiva).
Lo so, sarò come al solito una voce “fuori dal coro“, e qualcuno penserà che questo è un attacco contro una realtà meritevole di tutte le lodi. Non è un attacco, al contrario: è un’analisi che credo debba essere fatta, e non solo perché il mondo che esploro ed esploriamo con la nostra piccola realtà editoriale (in parte sul web, in parte su iPad) è molto diversa, forse meno “colta” (ma chi può dirlo?) ma senza dubbio più fresca e vitale. Il mondo che conosciamo non è in crisi, cresce, si arricchisce di nuovi giovani che si appassionano e cercano di entrare in questo mondo. Che vogliono (anzi: devono!) conoscere la storia e la “cultura formale” della fotografia, magistralmente raccontata da Forma (e da Contrasto, da Magnum, eccetera…), ma che non si ferma a questo. Non è per caso che c’è un’eccessiva attenzione verso un mondo della “fotografia” come la si intendeva in passato, e che non è “passata“, ma che non può essere cristallizzata e vincolata a certe scelte anche artistiche e “snob”? Io sono un ragazzo (per modo di dire) ignorante, ma che ho vissuto la fotografia sin da bambino, sui libri pubblicati da Life, sulle pagine di Epoca, visitando le mostre de “il Diaframma” (poi “Kodak Cultura”, quando la casa gialla l’ha sponsorizzata) di Lanfranco Colombo, e all’epoca questa era la realtà quasi unica (oltre ad andare alla Heopli a sbirciare i libri di fotografia che non potevo permettermi di comprare). Oggi il mondo è “anche” altro, e appassiona molte più persone. Un esempio ben lampante è che l’altro giorno Facebook (lo saprete tutti) ha acquisito Instagram, una società giovanissima che ha creato un’app e un ecosistema online che unisce milioni di persone appassionate di fotografia, per una cifra prossima a 1 miliardo di dollari. Insomma, non si può dire che la fotografia non abbia l’attenzione dei mercati forti…
Qualcuno – immagino tra questi i responsabili di Forma e gli appassionati della fotografia “colta” – diranno che non si può unire il sacro e il profano. Eppure… il futurismo ha insegnato che l’arte dovrebbe andare nelle strade a cercare le persone, uscire dai luoghi popolati solo dagli esperti. Sono molto “futurista” in questo: non c’è arte – specialmente nell’era di Internet – che possa trovare una vera dimensione contemporanea rimanendo circondata da muri, chiusa agli occhi dei “non esperti”, perché molti occhi “non esperti” saranno poi gli esperti del futuro. Non possiamo pensare che la cultura della fotografia sia fatta di nomi “leggendari” e basta, fotografi vissuti (e molti purtroppo deceduti, o non troppo arzilli) quando la fotografia era un linguaggio molto diverso da quello di oggi. Non sto dicendo che dobbiamo toglierci questo valore dai nostri occhi e dalle nostre emozioni, tutt’altro! I ragazzetti che fotografano con l’iPhone e che guardano Flickr hanno bisogno di sapere tutta questa storia, e anche capire cosa questi fantastici narratori di immagini fanno oggi (perché, in qualche parte del mondo, c’è ancora per fortuna lo spazio per immagini di questo valore anche oggi). Ma non possiamo ottenere un effetto opposto, ovvero di impedire a tutti – o quasi – questa visione. Non si attraggono nuove leve con mostre che non sembrano strizzare l’occhio a tutti, in occasioni dove sembra che se non ci si presenta in abito da sera e se non si parla con la “erre moscia” da vero snob, se non si citano almeno cinquanta nomi di fotografi vissuti prima della seconda guerra mondiale.
Dirò di più… la cultura non ha un movimento unilaterale: se è vero che chi arriva “ora” deve conoscere quello che è “successo”, è altrettanto vero che chi ha fatto e creato tanto dovrebbe e potrebbe rimanere affascinato dal “nuovo”, e potrebbe nascere un dialogo molto costruttivo e meravigliosamente bello da condividere. Non è forse quello che manca, per dare un futuro alle realtà culturali, non un futuro solo “finanziario” (i soldi finiscono se non si costruisce futuro solido), ma vera utilità per una collettività ampia. Magari una parte di quei soldi arrivati all’asta si potrebbero investire per creare territori di incontro, strade di dialogo, dove si può condividere, magari aiutare piccole realtà che stanno lavorando in uno strato di “cultura” meno altisonante, ma che riescono ad attrarre persone, realtà, passioni. Il focus è la fotografia, l’immagine, la voglia di comunicare con elementi visuali e multimediali, ma la “piazza” deve essere ben più grande, e molto più multisfaccettata. Tra queste “facce” non solo quelle giovani e “digitali”, ma anche quelle di un mestiere che si sviluppa, con garbo e con passione, in molti negozi, di città e province, che meriterebbe di essere raccontato e mostrato, perché spesso non viene considerato e supportato. Conosciamo tante realtà che stanno facendo eccellenti cose, e non hanno risorse per proseguire un lavoro apprezzato e seguito. E non hanno dalla loro parte le risorse e le aste…
Personalmente sono stufo di continuare a vedere che la fotografia di “valore” debba essere sempre considerata “per pochi”. Voglio (vorrei… voglio!) che sia di molti, che sia condivisa, che abbia porte aperte, che sia giovane, e anche allegra, serena, non solo cupa e tenebrosa. Bello che sia “intensa”, ma se qualcuno dovesse avere bisogno di una mano per capire cosa c’è nella profondità di quell’intensità, vorrei che ci fosse qualcuno che gliela possa mostrare, magari affiancando alle opere più importanti e storiche, anche occasioni più leggere, perché l’osmosi (anche culturale) parte dalla vicinanza, non dalla separazione.
Pensateci, amici di Forma. Non ho comprato alcuna stampa, all’asta, ma spero di avere dato qualcosa di prezioso lo stesso per il futuro della Fondazione. Magari parlarci di più potrebbe non essere una brutta cosa…
mimmo torrese says:
…come disse Totò nel film “I due marescialli” : Aderisco incondizionatamente!
Silvia says:
Mi sembra dovereoso ricordare che FORMA svolge ATTIVITA’ COMMERCIALE , vende le fotografie nella sua Galleria al primo piano, quindi non è proprio una struttura culturale come vuole apparire, questo a scapito della associazioni culturali vere, che neppure ricevono contributi, ma voi fareste beneficenza a una Galleria commerciale?
corrado a. says:
La tua analisi è fredda e calda nello stesso tempo, ma credo che interpreti il pensiero di molti che come me non hanno autorevolezza e argomenti certi per farlo.
Cercare finanziamenti per mantenere un luogo esclusivo, il posto dove vedere il meglio della fotografia e quindi una meta ambita per la “consacrazione” a importantissimo, mi sembra un comprensibile tentativo di chi teme di annegare tra i tantissimi luoghi sparsi in giro, semi sconosciuti, con proposte spesso sorprendenti.
Senza contare ciò che c’è in rete.
ciao
Federico says:
Che la cultura con la C maiuscola nel nostro paese ( dal quale feliciemente mi trovo lontano da quasi un anno senza intenzione di tornare) sia concepita come cosa di vecchi leoni è risaputo. A Lucca Digital Photography nel 2009 presi un piccolo depliant che diceva “incontro con i grandi della fotografia italiana” e c’erano i cinque personaggi in questione, tutti coi capelli bianchi. Questi signori hanno fatto l storia ed hanno ancora molto da dire, ma non c’era qualcuno ce diceva “largo ai giovani”?
..che però nuotano in un’agitata marea nera che i chiama RETI SOCIALI, dove tutti pubblicano di tutto e fanno i complimenti a tutti.
Insomma, due estremi della questione. Ci vorrebbe, come di fatto un po’ sta accadendo , che le grandi realtà incentivassero quelle emergenti, sia finanziariamente che soprattutto cercando uno spirito critico comune, un senso estetico al passo coi tempi.
Se no ci tocca dar ragione a tutti quelli che dicono “oggi come oggi tutti son capaci di fare una bella foto grazie alla digitale e a FOTOSCIOPP” e a noi professionisti “grazie no, le foto le fa il nostro ragionierino che ha una digitale profesisonale che si chiama?…Kenon 57000B? Naikon BMX? Non ricordo, non me ne intendo…”
Hasta luego
Simone Lomuoio says:
Ciao Luca, ciao tutti.
Io (non so se ricordi le mail che ci siamo scambiati) son uno di quelli che ti chiedeva la possibilità di inserire una “rubrica” sulla foto ,come dici tu, di “valore”. Tu mi avevi dato una bellissima risposta (che sintetizzando al minimo del minimo diceva che i posti dove parlare di questo ci sono e che c’erano persone più preparate che potevano farlo e che tu non ti sentivi “in grado”…o giù di li, scusami se non mi son espresso bene).
Io concordo con te, i posti ci sono. Ma è proprio considerando l’esistenza di posti come Forma, che ti dicevo se poteva farlo Jumper.
Io ero iscritto a Forma, ho seguito corsi da Forma, ma proprio per questo mi son allontanato da Forma. La goccia che ha fatto traboccare il vaso fu l’importantissima mostra degli autoscatti della più grande fotografa del mondo (superiore anche a Francesca Woodman): Martina Colombari.
Non me ne frega assolutamente nulla di Martina Colombari e del fatto che ha esposto a Forma. Ma mi hanno disgustato le risposte che hanno dato Curti e Koch: che hanno solo dato in prestito l’uso della sala ad un loro Partner (Fotografica era la manifestazione, mentre il partner manco lo cito). Il problema però è che l’hanno detto dopo le polemiche, un pò alla “Ponzio Pilato”.
Ecco, di una Fondazione Culturale del genere non ne sentirei alcuna mancanza, soprattutto se finanziata da uno dei giornali peggiori di Italia (ultimamente e purtroppo) e da una società il cui presidente (che ha cacciato il nuovo sindaco) che oltre che rubare non ha fatto.
Scusate la polemica, ma basta vedere alle ultime conferenze sullo stato della fotografia chi è stato invitato: Stefano Boeri. Io son un progettista e durante l’università leggevo domus, rivista storica e di grande livello (non solo a mio parere). Il direttore Stefano Boeri l’ha distrutta. Sentite anche in giro i professionisti che dicono.
Ecco Luca, mi son sfogato :))
(ed io son uno che ti parlava di fotografia colta :DDD )
Buon lavoro!
Mariosa says:
Scrivo in replica a Simone perchè ha fatto emergere qualcosa che in passato mi ha scioccato: la mostra di Martina Colombari. Non vorrei fare un riassunto semplicistico, ma far emergere ciò che ho provato quando ho visto quelle foto.
Ammetto anche una mia limitazione: faccio parte dei giovani che approcciano da qualche tempo la fotografia.
Che vivono quindi nel modo “nuovo” la fotografia in quanto tale.
Che vogliono provare cose nuove.
Che vogliono guardare al futuro, studiando anche le tecniche fotografiche di ieri. E di oggi.
Che si sono appena presi un nuovo iPad perchè attratti dai nuovoi media (e qui è solo merito/colpa di Luca che se facesse il venditore sarebbe l’uomo più convincente di sto pianeta).
La mostra della Martina non mi ha proprio comunicato nulla. Oltre a non avermi trasmesso nulla, in alcuni scatti mi è sembrata pure di cattivo gusto.
“Qualsiasi fotografia può essere resa perfetta. Trovo quindi che sia necessario, per chi oggi voglia ben fotografare, dimenticarsi di saper fotografare. Dimenticare i tecnicismi. Dimenticare i virtuosismi. Riappropriarsi di uno sguardo puro. Estremizzando tutto ciò qualche mese fa abbiamo chiesto a Martina (che non è una fotografa e quindi di tecnica non sa nulla…) di incominciare a fotografarsi. ”
La frase che riporto è quella che mi ha fatto un poco arrabbiare. Ma allora che devo fare per arrivare ad esporre in mostre di questo calibro? Dimenticare i “tecnicismi”? Dimenticare “di saper fotografare”?
Forse avrete già parlato di questa cosa. Forse anche in modo più elegante.
Ma non ho potuto tirarmi indietro quando ho visto quel nome.
So solo che se dimentico i “tecnicismi” poi le fotografie non mi convincono. Che a volte trasmettono lo stesso qualcosa, ma riuscirebbero meglio nel loro intento se ci avessi messo più attenzione nello scatto puramente “tecnico”.
tiziana pannunzio says:
Il problema è che è vero che qui a Milano non mancano le occasioni di Cultura, ma che per quanto riguarda la fotografia, alla fine, stringi stringi, i nomi sono sempre gli stessi o peggio (gente famosa, meritatamente o meno, per altri motivi che espone i suoi scatti).
Io sono un fotografo “all’antica” che però usa il anche il digitale (limitando l’uso di fotoscioppete solo per un minimo di contrasto e regolazione di luce e colore), mi trovo ad essere nè carne nè pesce: troppo all’antica per la fotografia gggggggiovane, troppo giovane (intendiamoci, ho quasi 50 anni, ma qui se non sei over 70 non conti) per la fotografia classica. Oltretutto, non avendo le giuste conoscenze, non mi si caca nessuno. Scusate il francesismo. Ma è vero… All’inizio, un po’ di anni fa, quando arrivai a Milano (e non da Sgurgola, ma da Roma, eh… dove già avevo esposto, anche al Festival della Fotografia) ero piena di belle speranze, ma dopo aver tentato l’approccio con alcune gallerie ed essermi sentita chiedere “chi conosci, chi ti manda”, invece di guardare le foto, sinceramente ho smesso proprio di considerare Milano e mi faccio i fatti miei in giro per l’Italia ed il mondo.
Beppe Raso says:
Ragazzi, che sasso nello stagno! Bravo Luca, riesci sempre a rispolverare passioni nascoste.
Vorrei discostarmi un pò dal discorso e parlare di numeri e di nomi.
Vi siete mai chiesti perchè le recenti ( già da anni ) campagne di moda non riportano mai il nome del
fotografo? Oh no avete ragione, solo se si chiamano Erwitt, Scianna, Weber, Testino e via dicendo.
Eppure chissà quante volte il nostro occhio si è fermato su immagini molto intriganti.
Bene, degli autori di queste pagine non possiamo sapere nulla, e men che noi, le agenzie
i talent scout, gli editori e via dicendo. Una pagina pubblicitaria su un quotidiano viene vista da milioni
di persone, se la foto è intrigante si guarda a lato per cercare il fotografo, a volte non c’è nemmeno
l’agenzia e spesso solo un numero di telefono dell’azienda pagante. Fine. Fine anche della notorietà.
Il nome rimane lì e nessuno lo vede. Se il fotografo è bravo, lavorerà molto, ma non produrrà cultura,
semplicemente perchè sconosciuto, questo è il punto.
E non credo che tirar fuori dagli armadi le foto geriatriche di alcuni nomi altisonanti equivalga necessariamente
a parlare di cultura. I giovani, vogliamo i giovani, magari non hanno ancora ben capito alcuni concetti tecnici
ma hanno una freschezza all’altezza dei tempi. E’ questa la galleria che sogno, magari con dei display elettronici
e uno slide show aggiornabile via web, in un luogo dove, intanto mi faccio l’aperitivo con amici.
Ogni tempo ha la cultura del suo tempo, per il resto, ci sono i musei.
Settimio Benedusi says:
Ciao Luca, buonasera a tutti,
le opinioni sono infinite, ma tutte legittime. Ma i fatti dovrebbero essere unici ed inequivocabili.
E i fatti inequivocabili rispetto a Forma sono che è uno spazio che si batte in maniera incredibile per la cultura fotografica.
Uno spazio in cui Contrasto non ha nulla a che fare.
Uno spazio dove il Corriere della Sera è fuori dalla Fondazione da tre anni.
Uno spazio che paga ad ATM un sostanzioso affitto.
Uno spazio che per fortuna esiste.
Tutto qui!
Grazie
Settimio
Luca Pianigiani says:
E quindi, Settimio? Non mi sembra che il post stia facendo i conto in tasca a Forma. Parla d’altro e da persona colta quale sei lo sai bene. Dico (e dubito che puoi contestarlo) che Forma ha e ha avuto molte più risorse rispetto a tanti altri, ma malgrado questo non sembra essere sufficiente per mantenere “la qualità”, o quantomeno un approccio come quello portato avanti finora. Allora magari il contributo che tu – che sei molto vicino a Forma – potrebbe prendere lo stimolo non proponendo difese a spada tratta: siamo tutti d’accordo che È bello che ci sia Forma, ma vorremmo (vorrei) che non fosse così chiusa come penso che sia. Proprio tu che hai proposto proprio un’apertura pur tanto criticata e che io invece non reputo così una “buccia di banana” proprio nell’ottica di un’apertura a mondi nuovi (e tu sai ovviamente di cosa parlo….). Sii tu, più dentro a questo mondo e capace come sei di non rimanere ancorato al “passato” a fare proposte, guarda che siamo tutti dalla stessa parte (credo che un pochino la storia parli anche bene di me, non sono poi lo zotico senza passione della cultura come talvolta fingo di essere…)
Samuel says:
Buonasera a tutti.
Un po’ titubante se commentare questo post, e ancora più titubante rispetto alle tante opinioni che ha generato (e meno male), ciò che mi sento di condividere è uno stato d’animo; sono un fotografo, ho 30 anni, ed ogni giorno mi faccio in quattro per questa passione.
Ho un fuoco continuo e costante che alimento grazie alle tante iniziative di carattere certamente minore rispetto alle “grandi” attrattive di Milano et similia, organizzandole con un gruppo di persone che come me ci credono, e partecipando a quelle di terzi altrettanto appassionati. Ebbene personalmente trovo abbiano un sapore molto più familiare, vicino e contemporaneo, che lo stimolo che generano sia più diretto, che l’impatto emotivo sia più forte, perchè gli ambienti in cui stiamo (e sottolineo STIAMO) generando questi incontri non impongono “livelli” (se non quelli oggettivi delle capacità personali) ma puntano proprio alla divulgazione semplice e diretta di una cultura, da una bocca all’altra, tramite una stretta di mano e una discussione costruttiva e senza pregiudizi.
Intendiamoci, luoghi e fondazioni come Forma sono in ogni caso importantissimi per la divulgazione di contenuti “più alti”, ma questa visione (condivisa a quanto apprendo da molti miei colleghi coetanei) così inaccessibile di questi spazi talvolta scoraggia il tentativo di percorrere una strada che già di per sè è una continua salita.
La scarsa attenzione e fiducia che viene rivolta alle “nuove leve” è la conferma di una forma mentis dal quale il nostro paese non so quando uscirà, ed esservi immerso, potete capire, spesso è frustrante. Ma fortunatamente proprio in quei luoghi più piccoli e raccolti in cui ci troviamo noi ragazzi, proprio nelle piccole iniziative che generiamo, nel web, nei workshop tra professionisti appassionati, è proprio li che ancora ci diamo l’un l’altro la voglia di persistere. I talenti non si scoprono se nessuno li va a cercare.
Settimio Benedusi says:
Caro Luca, non ho mai pensato e certo non penso ora che tu non abbia passione per la cultura! Figuriamoci! Anzi, tutt’altro!
Ho solo voluto dare, con il mio intervento, un contributo “tecnico” di come funzioni Forma, dato che ho la fortuna di poterlo sapere.
Se poi vogliamo abbandonare i fatti per entrare nelle opinioni, il fatto che esista una realtà come Forma in verità a me pure stupisce e spesso mi fa pensare “ma chi glielo fa fare?!?”. Ad esempio il week end appena passato dedicato agli stati generali della fotografia, totalmente gratutito. O tutte le mostre realizzate (ok, escludiamo pure quella vituperatissima da me organizzata, così ci togliamo il pensiero…;-)
Se poi dalle opinioni si torna ai fatti io all’asta ci sono andato e ho pure comprato per “miseri” 2.200 euro una bellissima opera di Branzi, facendo felice, secondo me: la Fotografia, Forma e, last but not least, pure me stesso…
;-)
marco says:
Un’onesta divergenza è spesso segno della salute del progresso.
marco
Giorgio Brioschi says:
a parte le osservazioni di Settimio Benudusi, tutte le altre, mi sembra, derivino da uno stato di frustrazione e di insoddisfazione del loro stato attuale. La cultura fa parte della vita di tutti i giorni ma PURTROPPO non è di massa e non lo potrà mai essere, e sopratutto la cultura non è quella di Facebook di Instagram e soci, e sopratutto non si misura con le quatazioni di borsa.
Giorgio
Luca Pianigiani says:
No, Giorgio, non sono d’accordo: la cultura è anche quella che condiziona, modifica e orienta il mondo. Quello che alcuni chiamano “Cultura” è una forma elitaria, che è importante come faro di riferimento, ma deve confrontarsi con la realtà quotidiana, se no rimane chiusa in sé stessa e in coloro che la venerano, e non comunica all’esterno. A quel punto, è inutile fare proposte che invece cercano proprio nell’esterno un senso di esistere. E non condivido il fatto che “Instagram” non sia “cultura”; questo è un modo di banalizzare e di mettere l’accento sul mezzo e non sul risultato. Ci sono opere d’arte fatte con Instagram e porcate fatte con la Tri-X… dai, scendiamo da questi luoghi comuni….
isa says:
sembra che molte “italianate” stiano chiudendo, facciamo festa invece che l’asta!
nell’estate del 2005 (era il 2005?) Milano era tappezzata di striscioni pubblicitari, Spazio Forma Corriere della Sera Contrasto Atm, tutti nomi con la Maiuscola. A settembre mi sono precipitata a visitare questo spazio innovativo appena aperto di cui tanto si parlava…mostra di Berengo Gardin pagata 6,50 euro circa, libreria con 4 libri abbastanza scontati… tornavo da 15 giorni a Copenaghen e a zonzo per la Danimarca, tra il Louisiana Museum e gallerie d’arte, fotografia, illustrazione… piccole realtà di perfetti sconosciuti, ma incredibilmente emozionanti (tutte con la minuscola!).
mi ha preso una sorta di sconforto, e ho faticato a rimettere piede a Forma negli anni successivi. Non mi sembra ci volesse un genio dell’economia e della cultura per intuire il destino di una simile organizzazione. Voi che dite?
Luca Pianigiani says:
Isa, forse la tua critica è eccessiva….. anche se ne capisco le motivazioni. Credo che questo dialogo possa essere importante (non mi risulta di aver mai letto nulla di questo genere in giro, specialmente in Italia…. e questo è un primo passo). Io amerei avere una realtà come Forma che mi mostra una strada, e che al tempo stesso possa essere luogo di incontro e di dibattito e di confronto con realtà emergenti, con la professionalità quotidiana (prima o poi vorrei vedere anche foto come quelle che fate voi, in un posto del genere…) e non solo rimanere in certi ambiti. La Fotografia non è solo una…
Simone Lomuoio says:
Ciao Luca e ciao tutti.
Scusate se intervengo di nuovo, ma a me sentir parlare a luoghi comuni mi fa cadere le braccia.
Premetto che io son un fotografo amatoriale che fa foto con banco ottico e pellicola 4×5″, ma non mi sento assolutamente frustato. Faccio mia, per un attimo, la risposta del fotografo Simone Casetta alla domanda: “Ma perchè non fai foto in digitale?” “Perchè son già abbastanza felice così”.
Ma come si può dire che Facebook o Instagram non sia cultura? Strumenti che coinvolgono miliardi di persone non sono culturalmente rilevanti? Ma dove vogliamo andare se non riusciamo a capire che lo studio di miliardi di fotografie fatte da utenti non sia culturalmente rilevante?
Io, ripeto, non son un fotografo professionista, mi occupo di progettazione e risparmio energetico, ma rimango sempre collegato agli articoli di Jumper che, a differenza dei professoroni, riescono a seguire le evoluzioni non solo del mercato, ma sociali (e non sociologiche).
Se non ci fossero state le masse (non riesco a capire perchè questo termine deve essere usato in modo così dispregiativo) la fotografia sarebbe morta ancor prima di nascere. Perchè son state le masse a finanziare lo sviluppo della fotografia dal dagherrotipo al digitale.
Io non riesco a capire perchè negli USA (possiamo dire che son stati loro a rendere la fotografia cultura?) ci fanno addirittura mostre al Moma di fotografie degli amatori e noi diciamo che la cultura non è di massa.
Un piccolo aneddoto. Nel Rinascimento, a Roma, il Papa aveva deciso di realizzare una fontana (non so se quella in Piazza Navona, scusate ma non mi ricordo) ed aveva incrementato le tasse al popolo. Il giorno dell’inaugurazione i cittadini di Roma erano riuniti per protestare e distruggere l’opera. Quando è stata scoperta il loro sentimento è si è completamente trasformato in ammirazione.
Ecco, secondo me la cultura è di massa; solo che le elite pensano che le persone siano su scalini diversi.
Saluti a tutti.
Claudio Amadei says:
Condivido l’analisi di luca Pianigiani, prima o poi ci si deve rendere conto che siamo nel 2012, grande rispetto per il passato, ma è il futuro che mi interessa.
Laura Bianconi says:
Gentile Luca Pianigiani,
nelle sue considerazioni sulla asta da noi organizzata dalla Fondazione Forma a Sotheby’s, ci sono delle informazioni inesatte. La Fondazione Forma infatti non ha mai avuto il sostegno economico della ATM cui invece paga un affitto per l’uso dei locali, né – a parte una fase iniziale – della Fondazione Corriere della Sera. Con entrambi abbiamo in corso una collaborazione importante per la comunicazione e ne siamo felici, ma l’impegno economico è esclusivamente sulle spalle della casa editrice Contrasto, che la ha creata, degli sponsor privati che ci affiancano cui siamo molto grati per il loro contributo, e del pubblico che partecipa alle nostre attività acquistando i biglietti di ingresso. Tutto ciò, come per tutte le altre iniziative culturali di rilievo pubblico, non è sufficiente ad assicurare la copertura dei costi, ed è per questo che siamo molto grati alla generosità dei fotografi e dei collezionisti che ci hanno voluto sostenere in questa occasione.
Queste motivazioni sono state anche espresse in due interviste prima dell’asta a Repubblica e al Corriere della Sera. Peraltro non ci sono legami con la agenzia Contrasto, che non è mai stata tra i soci della Fondazione. Non ci sono realtà europee simili a Forma che non abbiano un contributo economico importante da parte delle realtà pubbliche delle loro città e dei loro paesi, e in questo senso siamo purtroppo una eccezione assoluta.
Riguardo il dialogo con il mondo più vasto degli appassionati di fotografia e tutto quanto succede nella rete, le segnalo il convegno che abbiamo tenuto lo scorso 23-25 marzo la cui giornata conclusiva era dedicata alla “fotografia ai tempi dei social network” (http://tinyurl.com/cgydew2) e la mostra dell’estate 2011, dal titolo “Milano, un minuto prima” in cui abbiamo invitato 4 giovani curatori a indicare 12 giovani fotografi che si sono occupati di Milano e esposto al pubblico le loro immagini, con la convinzione che il nostro lavoro debba essere continuamente teso alla ricerca di nuovi talenti cui vanno offerte le occasioni che lei indica. Iniziative analoghe si sono svolte anche in passato e come certamente sa, Forma ha lanciato nel 2006 il premio biennale “F”, che nel 2013 avrà la sua quarta edizione.
Non siamo affetti da “erre moscia da veri snob”, ma piuttosto siamo molto attratti e convinti che la fotografia stia vivendo un periodo di grande novità per il quale abbiamo attenzione, curiosità e molto rispetto. Il nostro slogan è che Forma sia la “casa della fotografia” e in questo senso collaboriamo da sempre con chiunque proponga iniziative interessanti e argomenti di riflessione intorno alla fotografia.
Un cordiale saluto
Laura Bianconi
Ufficio stampa di Forma
Luca Pianigiani says:
Grazie Laura per il suo intervento in qualità di ufficio stampa di Forma. Credo purtroppo che non sia stato colto il messaggio del post, ma è un primo passo. Mi conceda di dire che non è certo un “convegno sui social network” che mette in luce una vera apertura nei confronti di quello che è oggi il fenomeno e la cultura della fotografia nella sua realtà condivisa in rete. Il
Giorno che vedrò Forma che dialoga con gli utenti dei social network alla pari, dando un contributo alla loro crescita culturale e ascoltando da loro opinioni e sogni, quando vedrò una delle tanto belle sale di Forma dedicate alla multimedialità e alle forme della fotografia contemporanea, quando vedrò ai convegni persone invitate che non sono i soliti nomi, quando si vedrà una passione per il nuovo pari almeno a quello che la storia ci ha donato, credo che non sia possibile (anche a voler essere indulgenti) poter dichiarare che Forma sia davvero attenta ai fenomeni “di tutta la fotografia”.
Pongo, infine, una domanda alla quale sarebbe bello avere una risposta sincera e non formale: ha visto spesso un Italia una discussione così vera sulla “forma” e sulle “forme” della fotografia in Italia, fatta da persone che di fotografia vivono e lavorano? Anche su questo forse avrebbe senso riflettere, per il bene di questo settore e non solo di una sua parte. La forza per il futuro sta nel dialogo che porta avanti tutte le sfaccettature. Cordiali saluti
Luca Pianigiani
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