E’ un periodo del ripensamento e dell’adattamento. Vale per tutti, ma vale in particolare (o di questo ci occupiamo oggi) per le aziende del settore dell’immagine, di conseguenza anche per chi in questo settore lavora, vive, guadagna.
Le aziende sono di fronte a delle evoluzioni del mercato che richiedono di guardare all’orizzonte con originalità, e non è semplice. La rivoluzione arriva quando qualcuno inizia a guardare qualcosa e lo interpreta in un modo nuovo, al contrario delle evoluzioni che portano ad un continuo e progressivo miglioramento di qualcosa che già esiste e che quindi, semmai, portano ad un “aggiornamento”. Oggi non siamo di fronte ad una esigenza di “aggiornamento”, siamo alla ricerca di un cambiamento epocale, e meglio di chiunque altro lo sanno le aziende che devono proporci nuovi motivi per stimolare un rinnovamento, che, banalmente, porta il mercato a comprare qualcosa che, di fatto, già possiede: tutti hanno uno smartphone, per quale motivo cambiarlo se continua a funzionare perfettamente? Certo c’è il marketing del desiderio, ma è probabile che non sempre sia una leva sufficiente. Se abbiamo già una fotocamera, perché cambiarla? Per guadagnare qualche megapixel, o un passaggio da una ripresa video 4k a 8k, quando poi alla fine quasi tutti fruiscono dei video nel “solo” Full HD? Ovvio che i fatti non sono esattamente così, e che una delle armi che si hanno per competere sul mercato è proprio quello dell’essere “al passo dei tempi”, e questo vuol dire aggiornarsi continuamente e avere modo quindi di ammortizzare velocemente gli strumenti che abbiamo a disposizione per lavorare… ma come detto questa è evoluzione, non rivoluzione, non scatena cambiamenti, semmai segue un percorso di crescita delicato.
Nell’ambito dell’immagine, la rivoluzione non è arrivata dalla “evoluzione” da analogico a digitale, ma da fotocamera a smartphone, e abbiamo detto (ormai mille volte) che questa rivoluzione è avvenuta non perché la fotografia sia entrata nelle tasche e tra le mani di tutti, ma perché all’esigenza di “comunicare” è stata aggiunta la funzione della fotografia. Le persone non hanno comprato (e ancora oggi il motivo è solo parziale) uno smartphone per fare le foto, ma per comunicare, per telefonare, per accedere ad internet e al web, alla messaggistica. Che poi tutto questo “comunicare” abbia richiesto e proposto sempre più fotografie e immagini in generale, è stata solo una conseguenza.
Oggi però tutti hanno uno smartphone, che fa tutto e ancor di più, e le ultime statistiche IDC dicono che Samsung vince con il 22,7%, Huawei segue con il 14,6%, Xiaomi, 13, 1%, Apple 11,8%, ma sono dati che vanno interpretati con una più limpida e concreta visione, si tratta infatti di un settore che ha tre veri approcci: quello di Apple (alto costo, esclusività di sistema operativo, tecnologie hardware quasi totalmente proprietarie), Samsung che offre una visione globale del prodotto, dalla fascia alta a quella bassa e tutti gli altri che competono, anche con grande dinamismo alla caccia di spazi alternativi (che dividono tra tanti brand), o puntando sul basso costo, offrendo sempre di più ad un prezzo sempre più basso, o per alcune tecnologie particolari, spesso più “raccontate” che non “reali”. Non ci sono spazi per grandi innovazioni, gli “oggetti” alla fine sono quasi tutti uguali nella forma (smettiamola di parlare di innovazione in questo campo, e neanche i modelli folding possono essere considerati realmente innovativi, lo faceva lo StarTac di Motorola già nel 1996 ed è forse l’unico telefono che ancora ricordiamo con piacere). Ci si batte, in questo mercato, con piccole evoluzioni, fatte di colore, finiture, funzionalità accessorie, ma di fatto uno smartphone di 5 anni fa non è molto diverso da quello di oggi, e mentre la curva era sempre in salita perché la quantità di persone che ancora non avevano uno smartphone era elevato, ora la saturazione è quasi totale. Quale sarà la rivoluzione? Noi lo abbiamo già previsto: sarà la scomparsa dello smartphone, sostituito da altre tecnologie di realtà aumentata indossabile, è qualcosa che ormai è data per sicura, tempo 5 anni probabilmente, o poco di più. E non è detto che saranno i produttori di telefoni che ci arriveranno per primi e con maggiore forza e lucidità (come non sono stati i giganti della fotografia a creare il mercato della fotografia attuale).
Nel frattempo, però, qualcuno ha aperto gli occhi, e da brand totalmente “ormai fuori dai giochi” del settore smartphone, ovvero Sony, è arrivata una intuizione che reputiamo davvero eccellente, al netto del costo e al netto dell’uso “specialistico”. Si chiama Sony Xperia Pro, e proprio Sony lo “toglie” dal mercato degli smartphone dicendo che no, non è uno smarphone, ma un “Communication Device”. Non si tratta solo di marketing o di frasi ad effetto: ci sono tre elementi davvero particolari che ne determinano un ruolo e un posizionamento nuovo: lo schermo, davvero – almeno nelle specifiche, visto che si parla di un wide display con proporzioni “cinema” da 21:9, un pannello da 6.5” 4K HDR OLED con contrasto1,000,000:1, risoluzione 3840×1644 a10-bit, lo stesso gamut di un monitor “Reference” come il Sony BVM-X300, la reda colore DCI-P3, e una luminosità che raggiunge i 1000 nits – eccezionale, la connettività 5G, comune a molti ma in questo caso reso e ottimizzato dal punto di vista del software un vero e proprio tool di comunicazione da gestire per trasferire dati, e una presa IN – HDMI, che è, o almeno ci risulta, unica. Molti device possono “uscire” in HDMI (con connettori abilitati o con accessori), ma nessuno – che ci risulti – permette di far entrare un segnale HDMI, trasformando quindi lo schermo dello smarphone in un monitor esterno. L’idea è quella di avere un oggetto che oltre alle solite funzioni di smartphone (che a spanne, in configurazione top come questa e con 500 Gb di spazio di disco, costa circa 1300/1500 euro) si propone come un monitor portatile 4K di altissima qualità broadcast, da abbinare a videocamere anche di altissimo livello (il prodotto che forse più assomiglia a questo, però da 5”, è lo Shinobi di Atomos, che si trova circa a 380 euro, oppure – anche se non è comparabile come prodotto, ma per fare un riferimento potremmo segnalare lo Shogun, sempre di Atomos, che però registra e ha prestazioni superiori, ma che ha un costo di oltre i 1500 euro). A questo, però si aggiunge la connettività, che può usare server RTMP oppure lo streaming diretto sui principali social network, alla velocità del 5G, ma per la fotografia anche di connettere la fotocamera tramite USB per trasferire immagini ad altissima velocità ad un server FTP, quindi per la fotografia di sport o di eventi diventa una alternativa estremamente dinamica e potente, che va a sostituirsi ad una connessione Ethernet a cavo, o all’ancora peggiore soluzione dei “runner” che fanno da spola con le card da portare in redazione o in qualsiasi altro luogo fisico.
Questo “oggetto di comunicazione”, visuale e dati, non è uno strumento che costa poco, si parla di 2500 dollari, che diventeranno sicuramente oltre 3000 euro, quindi un prezzo giudicabile da molti “folle”, ma non siamo qui a discuterne o a proporlo (ancor meno a venderlo): vogliamo dire che Sony ha trovato una interpretazione completamente diversa del concetto di smartphone; è un po’ come gli smartwatch: incidentalmente ti mostrano anche l’ora, ma è certamente il “servizio” meno interessante ed importante che offrono e nessuno lo compra per quello.
Per la fotografia, queste rivoluzioni dove stanno prendendo forma? Nei numeri dei fatturati e nelle operazioni delle grandi Case. Si sa, e fa soffrire, il risultato finanziario del 2020 di Nikon che ha portato ad una perdita secca di 720 milioni di dollari, che mette in evidenza l’esigenza per la più “fotografica” delle aziende top di una visione più ampia del concetto stesso di fotografia, e ci aspettiamo che ci saranno percorsi che sempre più porteranno verso la Realtà Aumentata e l’intelligenza artificiale. Nel primo caso sono già evidenti le mosse di Canon che ha presentato una gamma di visori per la Mixed Reality, a costi per ora esorbitanti (più di 38 mila dollari), ma è un approccio/messaggio che apre nuovi orizzonti su cui riflettere, sul secondo invece ci sono esempi molto concreti e alla portata di tutte le tasche e che portano a dire ancora una volta che le fotocamere che arriveranno faranno sempre più uso della fotografia computazionale e dell’intelligenza artificiale e quindi, di fatto, saranno “diverse” da quelle che conosciamo. In questo contesto, reputiamo molto interessante l’intervista pubblicata su Engadget al responsabile della ricerca e sviluppo di Samsung, Joshua Sungdae Cho, che spiega come in Samsung stiano studiando come “le persone guardano le immagini” e come le “considerano belle”, per arrivare non solo a renderle, tramite tecnologie computazionali, belle quanto la maggior parte delle persone preferiscono, ma addirittura ad imparare (AI) dagli utenti la loro “personale idea” di immagini che considerano “belle”, permettendo quindi di ottenerle. Nella pratica, lo stesso sistema di ripresa sarà in grado di “creare” immagini diverse a seconda delle preferenze dell’utente, anche nella stessa condizione e nello stesso momento.
Il pensiero finale è se, ancora, potremo pensare alla fotografia come allo “specchio della realtà” (sempre che lo sia mai stato), e di conseguenza la sfida per il futuro non sarà più legata a quello che abbiamo sempre inteso come “qualità”, ma qualcosa che risiede nella mente e negli occhi di ciascun individuo. Le aziende sono al lavoro sul futuro, gli utenti e i professionisti di questo mondo saranno pronti?