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Vendere fotografia: è tutta questione di marketing, baby…

E’ un argomento sul quale insistiamo molto, ma tranquilli: insisteremo sempre di più: il mestiere del “vendere” (qualsiasi cosa, ma qui parliamo di fotografia) è legato alla “capacità di vendere”. Tutti, o quasi, in questo settore, si soffermano alla capacità artigianale (o, peggio ancora, a quella “artistica”), quando questi elementi non possono che essere “obbligatori”, e pertanto non sufficienti. Se si vende il pane, bisogna sapere di vendere un buon prodotto, di qualità, fragrante e saporito; possiamo averlo fatto noi (panetteria con il forno), oppure fatto da altri (rivendita di pane), ma poco cambia, quello che è fondamentale è vendere al prezzo giusto il pane al cliente, che ne rimane soddisfatto. Per vendere di più, tuttavia, questo non basta: serve il marketing.

I fotografi hanno un approccio quasi sempre terribilmente dilettantistico con il marketing, e nascondono il loro “insuccesso” parlando di “qualità”, percepita o offerta. E parlano, parlano, senza rendere concreto il loro prodotto, e su questo noi lavoriamo – e lavoreremo sempre di più – per far capire che per uscire da questa crisi serve molto di più che non le parole. Lo facciamo con il nostro Jumper Premium, con i nostri Camp e con questa rubrica, che cerca di proporre strade per trovare una strada più redditizia ad un lavoro in grande crisi “esistenziale”. In questa sede, vi elenchiamo tre esempi di come la fotografia – a vari livelli – può essere proposta e trovare motivazioni oggettive per spingere un cliente a “comprare” il nostro prodotto, il nostro “panino”. Sono tre di tanti esempi che dovrebbero – secondo noi – essere valutati con la mente aperta, cercando di individuare il processo commerciale, la visione di marketing, per poi applicarla al proprio settore e al proprio mercato.

1) Tutti sono in grado di fare foto (oppure no?)

Ormai molti clienti lo pensano: basta una bella fotocamera (o addirittura un cellulare) per fare delle belle foto. I fotografi si arrabbiano, dicono “questi non capiscono la qualità” e si chiudono in una depressione/delusione dalla quale è difficile uscire. Ci si sente incompresi, il costo della vita schiaccia l’entusiasmo e si va sempre più in basso, magari accettando condizioni e monetizzazione sempre più scarsa: si lavora – in ore – di più, si guadagna sempre meno. Un fotografo americano, James Hodgins, ha pensato di “gareggiare” con i clienti che hanno espresso la stessa idea, proponendo una “sfida: si scattano le immagini nella stessa condizione, per poi analizzare i risultati. Guardate qui, gli esempi sono eccellenti per trasformare una parola (qualità) in un fatto concreto. Il cliente non sa bene cosa significhi questa parola, e pertanto non è in grado di valutarla; perché dovrebbe accettare di “pagarla”? L’educazione è il primo punto da affrontare, e questo vale sia per vendere fotografia o panini (non significa che si devono adottare le stesse tecniche di marketing al pane e alla fotografia, come dicono nelle scuole del marketing, ma che bisogna comunque essere mentalmente strutturati per educare il cliente). Iniziamo a mostrare la differenza, che deve essere oggettiva, non un’opinione, non un’interpretazione. Prendere esempio da James Hodgins – autore di questa rubrica che confronta foto scattate da clienti e da lui – è una buona idea purché… sia davvero evidente la differenza, e purtroppo a volte questa differenza potrebbe essere meno “evidente” (nel caso, formazione, studio, cultura, crescita diventeranno fondamentali, per fare la differenza).

2) I clienti non sono disposti a pagare “di più” (ma poi se ne pentono)

Sembra che i clienti non siano disposti a “pagare di più”, ma questo spesso è solo un approccio e un’abitudine… a fronte di un preventivo, ancor prima di analizzarlo si dice… “così tanto? no… menoooooo”. Salvo poi pentirsene, quando è troppo tardi, ma si capisce che poco serve (al cliente e anche al fotografo) che qualcuno se ne accorga troppo tardi, specialmente in un settore come quello del matrimonio dove… recuperare significa aspettare di risposarsi ;-)

Una statistica interessante arriva dalla rivista americana “New York Wedding” che ha chiesto a  100 lettrici fresche fresche di matrimonio “quello che avrebbero fatto in modo diverso” in occasione del loro grande giorno. Questi dati sono stati raccolti in un’infografica che riportiamo, e che è davvero interessante dal nostro punto di vista (di produttori di fotografie). Quello che si evince è che da una parte abbiamo il 12% di sposine che avrebbero voluto “spendere meno per le fotografie” (ma volentieri avrebbero risparmiato di più per esempio sui fiori, il 17%), ma in compenso il 21% ha dichiarato esattamente il contrario, ovvero che avrebbero dovuto “spendere di più”. Delusioni (tipo “lo zio ha fatto le riprese video e non ha registrato nulla”), ed è la voce più consistente di una delusione valutata sul “risparmio”. Certo, qualcuno dirà (perché purtroppo le analisi delle cose vanno fatte a mente aperta, come detto, e non sperando che ci sia una risposta affine al 100% alle proprie esigenze) che questa è una statistica americana, ma perché non prendere questa statistica e trasformarla in uno strumento concreto per spiegare che “quando è “tardi” è troppo tardi”? Di pensare al valore che si può avere comprando un servizio fotografico davvero “affidabile” (ricordatevi che in questo contesto  parola “affidabile” gioca un ruolo più forte rispetto alla parola “qualità”, perché il concetto qualitativo è inglobato nel termine “affidabile” mentre non si può dire lo stesso del contrario – per di più, torniamo al concetto che “qualità” è un concetto astratto e poco comprensibile).

3) Non si stampa più (specialmente perché nessuno propone idee nuove)

Il concetto e il costo “della stampa” hanno perso negli ultimi anni molto valore, in particolare perché non si è trovata una nuova chiave per proporre questo strumento e prodotto in una chiave moderna. Si è insistito a proporre la stampa come elemento per “visualizzare” immagini, e ormai non è più “necessario” stampare per vedere le immagini, basta metterle su Facebook, mandarle via email, trasferirle con una chiavetta USB. Ma la stampa è un valore di “possesso” e di “unione” che i bit non hanno, o hanno in modo diverso. Bisogna dare nuova vita alla stampa, e un esempio che abbiamo scoperto da pochissimo è un’app per iPhone che rende – con grande fascino – “social” la stampa. Si chiama Printic, e permette di ordinare stampe più o meno in formato Polaroid (che sono piccoline, quindi non solo economiche e alla portata di tutti, ma anche “carine”, graziose, affascinanti, esclusive) e di mandarle a tutti coloro che per esempio stiamo fotografando ad una festa o ad un evento. In pratica, si selezionano le immagini e si indica il numero di copie e gli indirizzi ai quali mandare le stampe. Fatelo, per capire il meccanismo (comprese le bustine arancioni, che contraddistinguono e rendono personalizzata la spedizione… non concentratevi sul “colore”, ovviamente, ma sul concetto della riconoscibilità), e poi studiate una soluzione che potreste realizzare voi direttamente, come servizio, sicuramente meno “automatico”, ma altrettanto avvincente, per dare valore ad un servizio che può risultare molto gradito. Guardate il video, ma se volete un consiglio fate una prova, stampate qualche fotina per capire il meccanismo.

Come vedete, tre idee molto diverse tra di loro, che “parlano” di marketing a tre fasce di utenza diverse. Come queste, ce ne sono centinaia, e ognuna di queste idee può essere sfruttata per far sorridere di più questo mercato. Centinaia di idee che stiamo raccogliendo, e che saranno oggetto di un intervento durante il nostro JumperDAY (con tanti ospiti prestigiosi) che si terrà il 10 aprile a Milano, e di tanti contenuti della prossima edizione di JumperPremium. C’è bisogno di parlare di come vendere e come vendersi… e noi siamo qui per questo, accanto a voi.