Il Vintage Design è l’arma che l’industria, per fare passi in avanti, sta usando come strategia per rivolgersi al mercato del fotografo. E’ notizia di qualche giorno fa – dopo una serie di video teaser di cui l’intero mondo ha parlato – è stata presentata la Nikon Df, una digitale “Fusion” tra passato e futuro. Una macchina particolare per il suo posizionamento commerciale prima ancora che tecnologico. Al costo di 2700 euro circa può essere considerata una fotocamera nata per un utente molto appassionato, che non bada a spese (ad un prezzo analogo può comprare una D800 che oggettivamente è più evoluta da tutti i punti di vista, ad esclusione del “mood”, o un’analoga fotocamera di altra marca, sempre “professionale”), ma se proprio vogliamo vedere è un’alternativa “economica” ad una Nikon D4 dalla quale eredita il sensore. E’ un apparecchio che è stato “bollato” come un apparecchio che strizza l’occhio a chi ama le fotocamere, più che la fotografia (risultato) in quanto tale. Che si rivolge ad un mercato di persone che vogliono distanziarsi dalla crescente massificazione di un “fotografare alla portata di tutti“. Avere tra le mani una fotocamera dal look degli anni ’70 – l’affinità estetica con la linea FE, FM eccetera è evidente in ogni dettaglio – è una scelta che regala autorevolezza storica al nostro “click”. Oggi è possibile lavorare in modo “moderno” con la stessa “immagine” del fotografare in modo analogico. Una fotografia su pellicola… senza pellicola (evviva, finalmente possiamo mandarla in pensione, l’inquinante pellicola e tutto il suo processo).
La Nikon Df è l’esempio più eclatante, ma non il primo che segue questa strada: lo ha fatto Olympus andando a recuperare il design delle sue OM (dove la O significava Olympus, e la M invece derivava dal mitico designer Maitani, che ha disegnato una delle serie più interessanti e “rivoluzionarie” per l’epoca, nel campo fotografico), da FujiFilm con la sua fortunatissima serie X che non solo strizza l’occhio al vintage, ma anche al design della Leica. Ma c’è qualcosa che forse sfugge in questo progetto Nikon Df; qualcosa che va oltre: forse perché va a toccare un pezzo di storia ancora più profondo. Negli anni ’60-70 gli apparecchi ai quali si ispira questa fotocamera “tutta nuova” erano un vero simbolo, il vero significato – trasformato in oggetto – della fotografia di fotogiornalismo, della fotografia di moda, di ricerca, di viaggio. Il sogno per tutti quelli che “volevano fare i fotografi”. Per certi versi, ancor più che la gamma professionale estrema (Nikon F, F2, F3), che era un punto di arrivo, meno “aspirazionale”, sostanzialmente impossibile da raggiungere se già non si era arrivati a trasformare una passione in un mestiere.
Col tempo, gli “oggetti” hanno perso una parte del loro fascino. Ne hanno guadagnati altri, più edonistici, più di status symbol. Chi compra il più prestigioso smartphone non reputa che il possesso possa permettergli di “raggiungere” niente altro che (forse, stupidamente) uno status symbol, così come chi compra l’automobile sportiva di lusso non crede di essere diventato un pilota di Formula 1. Il nostro mestiere, così indissolubilmente legato all’apparecchiatura (senza la quale la fotografia non può esistere), con gli anni ha perso un riferimento così nitido quanto le reflex Nikon degli anni ’70. Oggi i professionisti hanno tra le mani tante fotocamere, e l’immagine del “fotografo” si è diluito nella sua forza “onirica”. Nessuno oggi sogna più di fare il “fotografo”, sembra un “non mestiere” (e a volte c’è da interrogarsi: chissà se lo è ancora…), quindi gli apparecchi che usano i “veri professionisti” perdono fascino agli occhi del largo pubblico; sono solo oggetti che “costano di più”. Sono, semmai, interessanti perché hanno più megapixel, più funzioni, perché sono più prestigiose… ma non sono una scala per raggiungere un obiettivo ambizioso.
Oggi, semmai, si lavora con un approccio al contrario: ci si vanta di più se si usa un cellulare al posto di una reflex professionale per fare fotografie che finiscono su una rivista patinata, si dichiara con orgoglio che le fotografie non fanno uso di Photoshop, si mette in evidenza che si riesce a lavorare ad alto livello riducendo al minimo la componente tecnica; quasi a significare (stupidamente) che fare un prodotto di qualità con attrezzature evolute e costose è alla portata di tutti. E’ ovvio che è sbagliato ora, così come era ingenuo anni fa: la qualità arriva dalla testa, dalla capacità di inventare qualcosa di interessante e di nuovo. La cosa che ci interessa, e che stiamo inseguendo in questo pensiero, è il valore che questa sensazione rappresentava. Una forza di passione che oggi sembra non esserci più. Può un oggetto riportare questa sensazione? No, ovviamente no. Non più, quantomeno: il mondo è più complesso rispetto a quaranta-cinquanta anni fa, da questo punto di vista. C’era, all’epoca, un approccio più semplice, complici meno canali di informazione, un mondo più chiuso e isolato. Degli schemi… più schematici.
Tornare indietro, come soluzione, non funziona
Già, non è il vintage design che ci permette di tornare indietro, a meno che non sia una strategia per tornare a riguadagnare e recuperare certe sensazioni. Oggi il mestiere è fatto con troppo calcolo, le difficoltà economiche portano a valutazioni eccessivamente “matematiche”, mentre invece molto del valore creativo e dell’innovazione è legato ad uno stato d’animo. In questi giorni sto usando una mirrorless in prova (la nuova Fujifilm X-E2) e trovo che le sensazioni che trasmette qualcosa, nella sua postura, nel suo particolare rumore dello scatto, nella posizione delle mani che vanno naturalmente alla ghiera del diaframma per regolare l’esposizione. A me, come fotografo, forse anche al risultato che ottengo; non tanto come qualità assoluta, ma come condizionamento psicologico, e si può dire di tutto di negativo su di me, meno che io sia un amante del “passato”. A volte abbiamo bisogno di stimoli che possano portarci avanti, e se questa strada ci riporta indietro, basta che questo non sia una ricerca del gusto del passato, di quello che è stato e che non tornerà mai più.
Guardarsi indietro funziona solo per andare avanti, non per cercare una fuga dal presente, per la paura del futuro. Quello che dobbiamo portarci dietro dal passato, e magari usando qualche effetto placebo a supporto, è l’energia e la passione, il fuoco che accende e stimola. Se a noi, menti creative che non usiamo pennelli, matite o parole, ma macchine per descrivere il nostro pensiero e per raccontarlo, servono macchine diverse per ritrovare questi stimoli, ben vengano, alla fine sono un percorso più facile rispetto a quello che può essere un blocco di creatività come quello che purtroppo si sta notando nel nostro settore, così mortificato dalla crisi, dalla paura, dalla rabbia. Siamo umani, soffriamo di questo grigio attorno a noi, abbiamo bisogno di sognare. E’ un peccato credere a quello in cui credevamo? Forse no, e questo va ben oltre ai discorsi concreti, come quelli che facciamo ogni giorno per “tirare a campare”, per essere concorrenziali, per vincere sul piano economico.
pasquale says:
Ottimo, la lunghezza d’onda per me è questa, proprio questa, se qualcosa ci aiuta nella creatività o più semplicemente con lo stato d’animo che ci serve per lavorare, allora “imbracciamola” perché a quel punto verrò fuori qualcosa di buono da Noi per mezzo dell’oggetto e non l’inverso.
Personalmente provo le sensazioni che Luca ha descritto quando prendo dal mio cassetto in particolare qualche fotocamera con la quale il feeling è assicurato, anche se si tratta di una poco blasonata o di una vecchia gloria. Si lo confesso anche io sono, parafrasando Dalì un “grande masturbatore” in senso fotografico. Anche a me come è per Luca, e per molti altri sono sicuro, il suono di un particolare scatto, una determinata ergonomia e a volte anche l’odore di una fotocamera, stimolano e fanno svitare la valvola della creatività, un’inguaribile feticista? E chi se ne frega, se pure fosse, comunque mi manda in avanti e sono più che sicuro indietro non voglio tornare anche perché ho una fottuta nostalgia del futuro.
Neanche io sono d’accordo con le scelte passatiste, quelle con la puzza sotto il naso della serie ” si ma io…”
credo sia utile tenere tutto a portata di mano o di occhio ma che poi la strada venga da se, ma questo è soltanto il mio personale punto di vista…. proprio come quando si scatta, o no?
Simone Lomuoio says:
Buonasera, ti seguo sempre e spesso Son d’accordo con quanto scrivi, ma questa tua affermazione lascia molto a desiderare
(evviva, finalmente possiamo mandarla in pensione, l’inquinante pellicola e tutto il suo processo)
visto che ci sono infinite cose molto più inquinanti, come ben sai (tipo internet, ad esempio o i sensori).
A me non interessa pellicola, digitale o altro, ma sarebbe più opportuno non fare affermazioni non vere.
Buon lavoro a tutti.
Luca Pianigiani says:
Ho paura che non hai idea di quanto inquinamento ha generato la produzione, lo sviluppo e la stampa fotografica… Certo che è vero, anche perché si è trattato di un materiale di consumo, e come tale una continua produzione di inquinamento chimico pazzesco. Che poi ci siano altre migliaia di cose che inquinano, nessun dubbio: quello del trattamento fotografico però è stato eliminato…
Simone Lomuoio says:
Si Luca, ma forse sei tu che non hai idea di quanto inquinamento produce e quanto ne produrrà Internet.
Sai che nel 2020 Internet produrrà più inquinamento di 4stati messi insieme? Tutta la storia della produzione della pellicola dalla nascita in poi ha fatto un centesimo di quello che ha fatto la tecnologia di cellulari, pc e simili.
Io non ho detto che la produzione di pellicola non inquina. Mi riferivo al tuo evviva. Anche la produzione di colori ad olio ed acquerelli inquina. Vuoi gridare evviva anche se cesserà quella?
Come molto spesso ti capita, per tirare acqua al tuo mulino (tipo quando ti hanno criticato per aver fatto la fila per l’iPhone) non esiti ad attaccare le persone.
E mi dispiace per te che guardi sempre “al futuro” ma la nascita di Kodak alaris consentirà all’inquinantissima pellicola di distruggere l’ambiente ancora per un bel po’.
In alcune culture, in modo molto più interessante, ci si immagina con le spalle verso il futuro e con lo sguardo verso il passato. Perché il passato si può effettivamente guardare, il futuro no: quello ci viene alle spalle.
Buon lavoro.
Luca Pianigiani says:
Grazie Simone per il tuo prezioso e utile intervento ;-)
Lucaditoscana says:
Devo ammettere che questa volta Luca mi hai sorpreso, di solito non sei nostalgico e punti dritto avanti con determinazione e convinzione. Dunque delle osservazioni di questo tipo, se pur giustificate da leciti motivi connessi al lato emozionale ed a supporto di stimoli creativi, dette da te paladino del futuro, mi hanno spiazzato.
A mio parere la questione andrebbe vista da altre angolature: il vintage oggi vende, arredamento, abbigliamento, automobili, ecc rievocano il passato e l’industria fotografica segue la tendenza; secondo me però è l’ennesima ammissione della mancanza di idee e di creatività, di chi sotto il peso della crisi deve trovare metodi rapidi e sicuri di vendere; e riproporre stili del passato da buone garanzie. Dunque ci sarà certamente uno spazio di mercato per apparecchi costosi ed emozionanti, ma dubito fortemente che tornino utili ai professionisti che quelle emozioni le hanno già vissute dal vivo.
A mio parere i professionisti, di tutto hanno bisogno meno che di emozionarsi o peggio ancora di emozionare i clienti con la fotocamera luxury-vintage.
Alcuni giorni fà a Firenze hai molto insistito molto sul fatto che i fotografi che sopravvivranno, dovranno “fare contenuti che generano emozioni” ed ancora “devono evitare le scorciatoie”; a mio parere presentarsi con una fotocamera vintage per un professionista non e’ altro che una “scorciatoia”, una specie maschera per apparire “personaggio fotografo” e nascondere le carenze di idee.
Personalmente ho impiegato quasi vent’anni per metabolizzare la fotografia digitale e adesso che comincio a dominarla di nuovo, che sto tornando a muovermi con la stessa “liberta” con cui mi muovevo in pellicola, credo che il tornare a rivivere l’emozione della forma di una FM2 senza altri reali benefici, sia patetico o al limite nostalgico, ma niente di più.
DF è a mio parere l’ennesima “sirena” del mercato, l’ennesimo “gingillo” per chi se lo può’ permettere, ma per vincere
crisi, paure, rabbia, grigio, credo serva ben altro…
Luca Pianigiani says:
Confermo quello che ho detto a Firenze, e condivido la tua opinione. Non cadere però nella disattenzione nei confronti delle tue emozioni (che comunque condizionano il lavoro che fai e che farai… e a volte alcune sfumature che sembrano banali poi le viviamo emotivamente con un’intensità che si può riflettere sul risultato), e specialmente nei confronti delle emozioni che si provoca negli altri. Gli specchietti per le allodole a volte funzionano. E con questo ovvio che non voglio dire che siano sufficienti, e nemmeno che siano “necessarie”. Ma che esiste un rapporto emotivo con le cose, e sarebbe stupido non valutarlo ;-) E ora torniamo alle cose serie ;-))
Vittore says:
So che sono di parte in quanto io uso il M43 e sono legato molto legato ad Olympus, però mi sembra che (in ordine alfabetico) Fuji, Olympus, Panasonic e Sony abbiano (in questo periodo) strizzato l’occhio ai nostalgici dell’analogico. Ognuno di loro però ha saputo mettere nella macchina che proponevano qualcosa di nuovo, Fuji dei sensori rivoluzionari, Olympus una qualità di immagine e un autofocus fuori dal comune, Panasonic una qualità video stupefacente (e assieme Oly e Pana un sistema completo con ottiche di grandi qualità) Sony ha portato il mirrorless sul full frame… Quindi operazioni di marketing con contenuto… Quindi l’operazione di Nikon lascia un po’ perplessi…
In questo periodo i fotografi farebbero bene a concentrarsi sui contenuti, su approcci creativi al business e pensare alle macchine solo successivamente. E’ vero però che il mercato è ormai da anni fatto dai foto – amatori (non è in senso dispregiativo anzi) e per molti di loro la componente feticistica aiuta a sentire meglio certe sensazioni… In questo w-end sono stato molto con Francesco Cito… Le sue foto sono una grande fonte di ispirazione… Mmm… Usa la pellicola… Soprattuto usa la testa, il cuore e l’occhio…
Luca Pianigiani says:
Già, la testa: spettacolare macchina
Seppur imperfetta, che richiede a volte sensazioni non concrete che però aiutano a concretizzare. :-)
Vittore says:
In un periodo così turbolento è meglio essere aperti ma selettivi, chiudersi serve a poco. Nei mutamenti veloci che attraversano il mercato della fotografia permangono, ancora, molte opportunità. Coglierle è però estremamente complesso, richiede preparazione e grandi capacità di adattamento. La TESTA è sicuramente con il CUORE e le SCARPE quello che serve di più ai fotografi per trovare nuove vie… Non bisogna preoccuparsi di sbagliare ma di non saper riconoscere i propri errori… Detto questo finisco il mio panegirico da GURU indiano e vado a lavorare… Mail, post produzione, e social… Un abbraccio.
sandro says:
Nessuno oggi sogna più di fare il “fotografo”, sembra un “non mestiere”…no infatti non lo è più;devo dire la verità per anni ho assistito a seminari a pagamento, gratis e quant’altro credendoci molto; nonostante sia di Firenze non mi ha fatto per niente voglia venire al Wedding perché credo che nonostante le parole poi questo evento sia come altri sempre più rivolto ed aperto a tutti quelli che non lo fanno per mestiere e sopratutto per il fatto che mi sarei ritrovato in un ” bagno di folla” di NON PROFESSIONISTI che ormai scattano foto con il cellulare, con la minima reflex da 300 euro ma sopratutto non pagano le tasse e contribuiscono a diminuire la qualità di questo lavoro …mi si smentisca..mi piacerebbe vedere..non i nomi per carità..ma vedere che se c’erano 200 partecipanti a questi 200 corrispondevano 200 partite iva di gente che la mattina si alzano come me e di fotografia vivono .. lo so che questi discorsi sono già stati fatti ma a me che ci credevo fino a qualche anno fa ..alla qualità, al trovare idee e tecniche nuove questo dare in pasto a tutti non mi va più..credo che smetterò di fare il fotografo e mi metterò a fare le pulizie…sicuramente verrò più rispettato nel mio lavoro..un saluto a tutti SAndro
Luca Pianigiani says:
Caro Sandro,
purtroppo i momenti difficili generano chiusura, diffidenza, rabbia. E’ comprensibile, mi dispiace e al tempo stesso non posso che dirti che è un approccio che purtroppo non porta a molto. Per tua informazione, dei duecento partecipanti a Firenze, il 99% erano aziende con partita iva; il restante (due o tre persone) erano giovani che vogliono fare i fotografi. Sono venuti professionisti da Firenze, dal Veneto, dalla Toscana, dal Lazio, dalla Lombardia, dalla Puglia, dal Friuli, Abruzzo, Basilicata e uno persino da Barcellona (italiano, che però lavora in Spagna). Abbiamo parlato di contenuti utili per uscire dalla crisi (per esempio come proporsi al mercato, il tuo sito avrebbe tanto bisogno di un intervento radicale…), per avere più clienti, per rafforzare la propria posizione e per trovare alternative lavorative pur rimanendo nel campo fotografico. Abbiamo fatto parlare, a ruota libera e senza alcun condizionamento, tre fotografi, non perché “sono famosi”, ma perché hanno delle realtà che funzionano sul mercato (fatturano, vivono di fotografia, riescono a trovare clienti), che hanno dato un loro contributo, dei consigli e delle indicazioni. Il tutto sostanzialmente senza guadagnare nulla, abbiamo coperto solo le spese, ma lo abbiamo fatto con passione e credendo che solo con un’azione collettiva si può uscire dalle difficoltà.
Solo tu non c’eri, e hai perso un’occasione importante. A non credere più a nulla, non si riesce a distinguere più quello che vale da quello che “Non vale”. E si arriva non solo alla chiusura mentale, ma alla chiusura totale.
Mi auguro di rivederti a qualche altro evento, con lo stesso stile e con lo stesso impegno. Ma specialmente, spero che tu possa tornare a credere, se non a noi, quantomeno in te stesso ;-)
Carlo Baroni says:
Sono assolutamente d’accordo con l’intervento di Simone Lumoio e lei Pianigiani, come al solito del resto, se qualcuno non è d’accordo con lei e ha la buona volontà di mostrarle un diverso punto di vista reagisce in due maniere: ATTACCA o RIDICOLIZZA.
Mi dispiace per lei perchè in questa maniera non potrà mai imparare niente troppo convinto e distratto dal fatto che la sua opinione sia il vangelo.
D’altronde uno che parla di fotografia e non è mai stato fotografo io lo vedo un pò come il prete che parla di amore, bambini e matrimonio.
La vera conoscenza nasce dall’esperienza. Punto.
Luca Pianigiani says:
Gentile Carlo. Non comprendo, ma proverò a capire, anche se mi sembra difficile capire come, senza sapere nulla di me, dichiara che non ho mai fatto il fotografo e poi crede davvero che colui che “sa” è solo colui che “fa”? Com questo sta mandando al macero le professioni degne e rispettabili quali quelle dei docenti, dei critici, degli studiosi: quello che conta è solo l’artigianato, secondo il suo prezioso parere, giusto? Opinione sua, non mi sento di condividerla.
Mi domando, per finire, perché se quello che faccio è da considerarsi così inutile e sgradevole, perché lei abbia comunque la compiacenza di continuare a leggermi? Curioso, ma è pur sempre la curiosità il bello della vita.
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