L’effetto vintage può essere una strategia per il mestiere del fotografo? Nella costante ricerca di percorsi che possano generare nuovi fatturati, in un mondo che sembra correre ovunque meno che verso i professionisti dell’immagine, forse una strada è quella di tornare a proporre dei valori che hanno un sapore di magia.
Può funzionare? Potrebbe funzionare, ma non con l’approccio che molti cercano di portare avanti, ovvero di fingere di fare i fotografi del passato, senza però far fatica. Leggevo, qualche tempo fa, di qualcuno che parlava di nascondere dalla vista il display della fotocamera digitale, in modo da poter fare le cose complicate come una volta, ovvero scattare solo ipotizzando e prevedendo il risultato finale. Questa è una “falsità” che, secondo noi beninteso, non genera fotografie migliori, ma ancor meno emozione nel possibile cliente; più facile finire coll’apparire poco concreti e credibili, alla fine, le fotografie che si controllano sul monitor – e che quindi eventualmente si correggono – permettono non solo ad un pubblico più allargato di non fare errori, ma permettono anche a quelli bravi di fare ancor meglio… non tutto si può prevedere, ma tutto si può far meglio.
Il marketing del vintage con le fotocamere “old style”
Non stiamo parlando di trucchi: il marketing è già, di per sé, un trucco e si deve basare – per essere funzionale – su fatti solidi e concreti. Pensiamoci bene: perché oggi la fotografia professionale ha così tanta difficoltà a risultare un bene prezioso, credibile, vendibile? Perché tutti sanno che basta un cellulare e una frazione di secondo per fare una “bella foto”. Abbiamo delle armi per controbattere? Più pixel? Fotocamere più costose? Gilet multitasche? Qualcuno punta sulla “fotografia analogica”, un ritorno al rullino… ma con quale risultato? E’ percepibile dal pubblico meno smaliziato la differenza e anche il motivo di questa scelta? Alla fine, una fotocamera digitale e una analogica sono così diverse all’occhio meno specializzato? Pensiamoci bene… una Canon di 20 anni fa, esteticamente, non è poi così diversa da quella di oggi (il sistema Canon EOS, va ricordato ai più giovani, è nato con la pellicola), lo stesso si può dire di Nikon che addirittura di recente ha riproposto un apparecchio dal look “totally vintage”, ovvero la Nikon Df, e se andiamo su altre produzioni, ci accorgiamo subito che le Fujifilm sono andate a ripescare il look delle fotocamere anni ’50 e le Leica non hanno mai smesso di rappresentarlo (con una soluzione modernamente vintage). E allora? Puntiamo sul medio formato? Beh, certo che un’Hasselblad digitale ha un bel look che dimostra valore, e così anche altri prodotti analoghi, e c’è la voce di una nuova Mamiya che riprende il look della storica Mamiya 6 e 7 (quanto le ho amate!). Qual è il problema di queste soluzioni? Che sono costose, ma anche che sono sempre e comunque digitali… sarà sufficiente la forma per creare un’emozione vendibile? Forse no.
Date un’occhiata a questa proposta su Kickstarter: due ragazzi inglesi d’altri tempi hanno progettato e sviluppato l’idea di un banco ottico in legno che ha due vantaggi: è davvero e profondamente vintage, e costa molto, molto poco! Purtroppo la prima ondata di macchine, al costo di sole 99 sterline è già tutta stata venduta, ma ci sono ancora disponibili i modelli a 129 sterline (163 euro, al cambio di oggi: me lo dice in automatico Spotlight indicando semplicemente il valore in sterline).
Potrebbe essere un regalo che vi potreste fare per Natale, no? Pensate, potete scegliere anche il colore del soffietto: il classico nero, ma anche rosso, verde o blu. Certo, una volta che vi garantite una di queste fotocamere, poi ci dovete mettere un obiettivo (ma se fate una ricerca su eBay se ne trovano di ottimi a costi non eccessivi) e uno chassis porta pellicola. Ah… giusto: poi dovete trovare la pellicola, 4×5 pollici (10 x 12 cm circa), e non è semplicissimo… ma sta proprio qui il bello (anche di queste, su eBay ce ne sono tante!). La fotografia torna (tornerebbe) ad essere un bene di lusso, speciale, unico. Certo, bisogna poi svilupparle queste pellicole, forse anche stamparle… ma c’è un mercato per opere di questo tipo? Si può creare e vedere se nell’ambito di questo mondo che corre c’è la voglia di qualcosa che ha un sapore di “eterno”.
La fotografia è diventata una sensazione di un istante, il tempo di pubblicarla su Facebook e farla girare tra gli amici. Poi si dimentica, si aggiorna con altre foto, si scorre via veloci. Proporre un ritratto dal gusto dei secoli passati, è un gioco che può avere una grande forza. Va raccontato bene, va studiata la promozione, e poi bisogna individuare prezzo e ricarico. Ma può funzionare.
Non è detto che sia necessario comprare questo banco ottico su Kickstarter (sto trattenendomi dal comprarlo… ma forse entro domani cado nella tentazione), gli studi dei fotografi italiani sono pieni di Sinar, di Toyo, di Fatif che non si usano più (sarebbero contenti di vendervi quella “ferraglia inutilizzata” a pochi soldi), eBay ha comunque una fornita proposta, e con poche centinaia di euro si possono portare a casa macchine strepitose che all’epoca costavano una fortuna. Faranno un grande effetto, quando vi metterete dietro la fotocamera, sotto il telo nero… si: sarà una vera e propria magia che si ricreerà. Molte persone non potranno nemmeno immaginare che una volta – non 200 anni fa… 20 anni fa – si lavorava così, in studio.
Il marketing del vintage con le tecniche del passato
Ma si può andare anche oltre… la strategia è quella di andare a riproporre estetiche e prodotti di altissimo valore storico, che si basano su tecniche antiche come la dagherrotipia, ambrotipia, ferrotipia. E sono percorsi che non solo ridanno valore al mestiere del fotografo in quanto “artista”, ma anche creatore di un prodotto “fisico”. C’è un bel libro, incredibilmente in italiano, realizzato da due veri appassionati di queste tecniche Paolo Gosio e Gabriele Chiesa che potrebbe essere il primo passo per farvi riflettere su queste potenzialità, artistiche, creative e di business. Lo trovate su Amazon a questo link, e secondo noi vi conviene comprarlo subito perché non sappiamo se ci sono moltissime copie disponibili…
Ci sono studi, nel mondo, che hanno trasformato questa idea in un business molto ben strutturato, guardate questo studio di Austin, in Texas, questo a San Francisco (che si è costruito anche un banco ottico gigantesco, ne hanno parlato anche su un importante sito un anno fa circa), questo ad Amsterdam (tanto per dire che anche in Europa non mancano progetti di questo tipo). Pensiamo che potrebbero aprire gli occhi a molti, perché è subito chiaro che sono prodotti e proposte di valore, esclusive, che possono attrarre un pubblico che vuole avere, dalla fotografia, qualcosa di davvero speciale.
Certo, è faticoso, complesso, e per di più non è difficile simulare gli effetti con una semplice App (come quella della foto che abbiamo pubblicato del sottoscritto con faccia da sconvolto), ma quello che conta è quello che sta attorno all’idea, al come la presentate, a come riuscirete ad uscire dalla mischia delle foto “semplici”.
Maurizio melozzi says:
Bell articolo,
Mi sa tanto che hai ragione su questa tua visione.
MM
massimo says:
https://www.facebook.com/video.php?v=661066753989055&set=vb.395018980593835&type=2&theater
credo che la creatività e la voglia di sperimentare non manchi nemmeno dalle nostre parti
sinceremente non so cosa manca ma di una cosa sono sicuro : se una cosa viene da fuori da lontano se ha un nome non italiano beh tutto è piu facile viene piu apprezzato. non confondiamoci non sto facendo un discorso su nazionalita paese genere che non ha senso ma, in certi casi un certo senso ce l’ha
Davide says:
Io scatto da sempre anche e ancora in pellicola ma non ho mai pensato a farne un “marchio” di fabbrica!
Luca Pianigiani says:
Infatti non abbiamo detto che scattare su pellicola è un valore aggiunto. L’articolo, che parla di marketing, lo spiega ;-)
Michele says:
Luca, più leggo i tuoi articoli e più sono indecido se prenderti a pugni o darti la mano. Uso questo incipit per esprimere, in maniera semplice ma efficace, gli stimoli emotivi che i tuoi articoli portano. Ho sempre considerato la fotografia come una sfida tra me e la luce quindi riprodurla in “vitreo”, anche se con estreme possibilità di controllo, non mi ha mai appassionato più di tanto. Ho preferito dare sempre più importanza agli sguardi, all’anima delle persone che fotografo, ho preferito anche non prendere in giro con effetti speciali spesso pacchiani, ma questa è una riflessione personalissima ispirata da una coppia di sposi che tempo fa, alla domanda “come immaginate il vostro servizio fotografico?” risposero “vorremmo ricordarci della nostra emotività, non di due estranei che fanno una fiction”. L’utilizzo della pellicola lo trovo un esercizio “fisico” valido che mi permette anche di non assuefarmi al feticcio dei milioni di pixel che crescono inutilmente. Altra convizione è che se i produttori hanno deciso di giocare con i nostri soldi, sicuramente io non sono nessuno per poterli fermare ma mi reputo abbastanza intelligente da non essere preso in giro. Purtroppo non tutto quello che è innovativo è inevitabilmente essenziale.
Luca Pianigiani says:
Il mio compito, se ne ho uno (a volte me lo chiedo) è di offrire soluzioni, idee, percorsi. Non tutti sono idoneai per tutti, però molti – nei tanti anni passati – hanno tratto vantaggi da questi consigli, alcuni hanno anche ammesso che oggi una parte consistente del loro fatturato lo devono a dei consigli che hanno letto qui e che hanno seguito.
Io mi auguro che tu abbia strade da percorrere da solo, con successo; se è così ne sarò felice, sarà come dire che ho un compito in meno (quello di cercare di aiutare anche te). Ma ce ne sono tanti che oggi non sanno come risolvere un problema pratico concreto: quello dell’arrivare alla fine del mese, tanti che non riescono ad essere percepiti come fornitori di un “prodotto” dal prezzo corretto. A queste persone cerchiamo di dare strumenti di marketing… il marketing è un po’ un trucco, ma se lo usiamo con serietà e con impegno, semplicemente ci porta a vendere meglio quello che sappiamo fare.
Non confondere gli effetti speciali con le idee… a volte le cose sembrano pacchiane perché non siamo capaci di vedere il lato creativo, innovativo, affascinante… Gli effetti speciali sono pacchiani se non hanno dietro delle idee (sia questo un filtro di Instagram, un obiettivo, o “la capacità di tirare fuori l’anima…”), se le idee ci sono possono essere eccezionali (semplici o ad effetto), come ci insegnano molte forme di arte. Anche l’uso della pellicola può essere un effetto speciale, e il suo uso può essere legato al cadere dalla padella alla brace (dal “trucco” dei pixel al “trucco” dei non pixel: Lomography è un esempio, spacciano per creative macchine che sono oggettivamente delle schifezze, che quando io ero giovane erano considerate per quello che sono: delle macchine da pochi soldi, ma che oggi vengono fatte pagare, immeritatamente, oro).
Sono, personalmente, amante e ricercatore del minimalismo, e quindi amo l’essenziale. Per venderlo, bisogna essere però dannatamente bravi, ma proprio tanto bravi (e devono essere bravi anche i potenziali clienti a capirlo), e la percentuale di “veramente bravi” è scarsa: questo è un fatto. Se poi vuoi darmi pugni, spero solo che possa darti del beneficio psicologico, di sicuro non scrivo quello che scrivo per avere pugni, ma neanche per avere “mani”; lo faccio perché spero di essere (almeno un po’) utile. Buona serata,
Guido Bartoli says:
Ricordate quando alla fine del secolo scorso (solo 15 anni fa) ci si divideva inutilmente in “pro” o “contro” il digitale?
Quando si discuteva se la “Fotografia vera” è in pellicola o in digitale?
Ebbene assieme ad altri (pochi) mi permettevo di far notare (un po’ provocatoriamente):
1 – se parliamo di “Fotografia vera e originale” la pellicola è solo un prodotto industriale tardivo rispetto alla nascita della fotografia e allora via anche le pellicole e torniamo al dagherrotipo (la storia si studia per criticare il presente)
2 – fotografare significa “scrivere con la luce”, non con la Kodak o l’Agfa…
3 – la pellicola, come il dagherrotipo, il collodio umido o secco, il platino-palladio … ecc …. NON MORIRANNO MAI (al massimo se l’industria non le produrrà più le si ricostruiranno artigianalmente)
4 – datemi una qualsiasi cosa che crei un’immagine e io la userò per fotografare.
Bene, finalmente ci siamo… ci sono studi che usano e propongono altre tecniche e non solo il digitale.
In fondo i mercatini sono pieni di gente che compra “croste” dipinte ad olio e le paga pure…
Non voglio offendere i pittori, ma ho visto pagare robaccia molto più che belle fotografie.
E’ ora di proporre Fotografie, come i pittori propongono i loro dipinti…
Con orgoglio, di professionisti, di creativi…
Fotografo, scultore, pittore, illustratore…. è sempre creatività.
PS:
Luca, ammazza se in quella foto sei sconvolto! Sei quasi riuscito a superarmi…
In ogni caso complimenti per gli stimoli dei tuoi articoli
Luca Pianigiani says:
Guido: sono “intenso” non sconvolto e “vintage” per interpretare il tema. Nella realtà sono ora (rispetto ad anni fa) alto, biondo e ho sempre meno anni :-))
Alessandro Capuzzo says:
Molto interessante Guido quanto hai scritto..
Secondo me, non è il fatto di cosa si vende e propone, ma di come fare per convincere la gente che “quelle croste” valgono!
Seguo poi con molto interesse questa diatriba ancora in atto “analogico-digitale”, ne ho avuto modo di parlare anche con colleghi che si son messi a fare foto in studio col collodio.. Per il mio modo di vedere la fotografia, la si può fare come si vuole,ma mi deve trasmettere emozioni… è inutile spendere centinaia di euro per fare foto banali su lastre di vetro, meglio una foto emozionante fatta con una usa e getta.
loredana says:
Se ti sentisse Andrea. .. ahahaha! Sono pienamente d’accordo con te. Bell’articolo!
Michele says:
Luca, era una metafora per dirti, “in maniera creativa”, che gli articoli che scrivi sono stimolanti in tutti i sensi, sia in accordo che in disaccordo quindi comunque positivi. Alessandro condivido molto il tuo punto, l’importante è tramettere emozioni e per farlo c’è chi attiva paleativi, costruisce artefatti, chi più semplicemente “guarda negli occhi” che non significa essere meno creativi ma magari più umani, più sociali. Quanto al pacchiano negli ultimi tempi il filo rosso che distingue l’opera d’arte (magari esempio di creatività) e la cavolata si assottiglia sempre più con gran pena per noi tutti fruitori che spesso per essere moderni dobbiamo subire banalità travestite da innovazioni.
Luca Pianigiani says:
Si Michele, avevo capito ;-))
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