Visual Storytelling, piattaforme per grandi e piccini

Visual Storytelling, piattaforme per grandi e piccini

Da tanto tempo parliamo di Visual Storytelling come percorso interessante per chi si occupa di immagine e di comunicazione. La sua forza dirompente – quella che da sempre ci porta ad aumentare la nostra attenzione a fronte di qualcuno che si propone di “raccontarci una storia” – è rafforzata dagli strumenti di “distribuzione” digitali, e non è un caso che molti social network si sono sviluppati seguendo questo filone, alcuni con particolare efficacia perché sono riusciti a proporre una piattaforma/supporto idonea al contenere fotografie, video e testo con eleganza e con una coerenza narrativa che supera quella di un blog o peggio ancora di un post su Facebook (che è una delle soluzioni grafiche meno efficaci per questo scopo) o un tweet. Sono comparsi quindi soluzioni come Medium (sostanzialmente per il testo), ma ancor di più Exposure e Storehouse. Simili tra loro, queste soluzioni hanno nella eccellente tipografia, nella resa delle immagini (grandi e ben impaginate), nella disponibilità di app per la gestione e la fruzione dei contenuti e negli strumenti aggregativi e di sharing i loro punti di forza.

Ci sono due punti sui quali discutere, però: il primo è quello della democratizzazione dello strumento: tutti, anche gratuitamente (le versioni a pagamento consentono maggiori potenzialità, ma la strada è aperta per tutti), possono realizzare siti/spazi/progetti di altissima qualità strutturale e grafica. In pratica, chi per anni ha studiato e approfondito le modalità per comunicare correttamente su uno schermo (desktop o mobile), magari si accorge che chiunque oggi può ottenere lo stesso risultato, o addirittura migliore con una simile piattaforma. Poco male (anzi: meglio!): ancora una volta, quello che importa è la qualità del racconto e della narrazione, non dell’inchiostro o della carta, della scelta della font o dell’uso del bianco e nero o del colore. Livellare la base è l’unico modo per far uscire la vera qualità del contenuto.

Il secondo punto, conseguente al primo: ma se abbiamo delle storie interessanti da raccontare, magari c’è qualcuno che è  anche disposto a comprarle. Usare piattaforme come queste, che potenzialità commerciali offre ai creatori di contenuti che desiderano guadagnare con i loro contenuti? In realtà, in prima battuta, chi ci guadagna sono solo le piattaforme stesse, che offrendo a tanti un servizio gratuito si garantiscono una piccola percentuale di utenti a pagamento e visto il business digitale consente di offrire a tanti elementi gratuiti di una piattaforma che viene di fatto pagata da poco (chi vende beni fisici non si può permettere di regalare il 95% di quello che produce facendosi pagare solo il restante 5%), ne traggono il loro ovvio vantaggio; ma gli autori? Spesso, gli autori (giornalisti, fotografi, videomaker, raccontastorie) sono degli ignari creatori di business per altri, non per se stessi. Alimentano una macchina con la loro benzina, ma non ci guadagnano nulla: solo una potenziale visibilità che di fatto non necessariamente genera altre forme di monetizzazione. Non a caso, diranno molti, su queste piattaforme ci sono solo i piccoli, quelli che sognano un glorioso futuro: non certo chi il successo l’ha già toccato.

In verità non è così: nessuno può permettersi più di proporsi solo in un ambito chiuso; le persone interessate ai contenuti di qualità sono anche quelli dal palato più raffinato, non si accontentano più solo del nome a garanzia. Vogliono toccare con mano, vogliono scoprire e rimanere affascinati, e poi semmai saranno disposti all’acquisto. E quindi, chi vuole vendere un contenuto, deve prima di tutto farlo scoprire (magari anche solo parzialmente, ma ad alto livello). Un esempio interessante di questo meccanismo viene da National Geographic che ha aperto un suo spazio su Storehouse, e al momento ha pubblicato due storie, quella che vi segnaliamo (e che inseriamo in questo post: si, una delle potenzialità di Storehouse è di poter “embeddare” il contenuto ovunque, a vantaggio di una maggiore diffusione virale) è un lavoro di un fotografo giapponese Matsuura Tomoya e sono delle immagini strepitose che non solo vengono proposte meravigliosamente dalla piattaforma StoreHouse, ma che risultano arricchite perché corredate di testo che accompagna, e che è piacevolmente leggibile sia su computer che su device mobili. Ma la strategia è più raffinata: questo contenuto è stato selezionato da NatGeo all’interno del progetto YourShot, che incoraggia gli appassionati di fotografi (ma anche i professionisti) a proporre dei lavori di storytelling, che vengono poi selezionati dal team di esperti della rivista e promossi (per esempio, nello spazio di NatGeo di  Storehouse).

Tutto si può dire di NatGeo meno che non siano in grado di proporre contenuti vendibili e venduti, il loro sito è tra i più visitati al mondo… potrebbero farne a meno di una visibilità su strumenti come questi, eppure (anche loro) li usano. e sono intelligenti ad usarli: Storehouse per certi versi risulta più efficace per il visual storytelling del loro pur ottimo sito (che ha molteplici esigenze, non solo quella di raccontare una storia). Ma la scelta è ancora più raffinata: le immagini sono quelle dei partecipanti all’iniziativa YourShot, e quindi non sono contenuti “originali di NatGeo”… come dire che la pagina di National Geographic su Storehouse viene usato come una piattaforma meno “ufficiale”.

Storehouse e altre soluzioni sono quindi piattaforme interessanti e strategiche, da usare con intelligenza. Non importa se siamo piccoli o grandi: non possiamo credere di poter avere successo senza mettere in luce il nostro lavoro, la nostra capacità di raccontare storie, senza mostrare al meglio le nostre immagini, i nostri video, la nostra capacità di emozionare. Se ci riusciamo – grazie a strumenti ottimizzati – sarà più facile far uscire le nostre qualità (se ci sono). Vale la pena provare, mettendo al centro concretamente la voglia di raccontare storie, la capacità, la fantasia e la strategia che deve però portare da qualche parte… Chi siamo? cosa stiamo cercando? dove vogliamo andare? Siamo noi che dobbiamo indicare la strada, ma dobbiamo conoscerla questa strada… Se no ci perdiamo e basta.

 

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