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L’Anemoia nel futuro umano – La nostalgia per un domani che non abbiamo mai vissuto
C’è di sicuro un’esigenza, davanti a noi: quella di dover imparare a conoscere meglio le nostre emozioni, convertirle da sensazioni a presenze oggettive, da immateriali a materiali, da mentali a visive, da intime a condivise. Ce lo richiede l’evoluzione che ci mette a confronto con il mondo sempre più dominato dall’intelligenza artificiale che in poco tempo ha cambiato la visione di tutto: del lavoro, della ricerca, della crescita, delle aspettative, delle opportunità. Sempre più ci è richiesta una coscienza di quello che davvero vuol dire “esseri degli umani” e gli umani si riconoscono dal fatto che vivono e sono capaci di emozionarsi e di trasmettere tali emozioni ad altri esseri umani. Non a parole, con i fatti… ma a volte per definire le emozioni servono le parole, e se non ci sono, se non esistono ancora, anche delle… parole nuove.
Abbiamo tra le mani in questo momento quello che inizialmente era un blog nato nel 2009, che poi è poi diventato un libro (quello che abbiamo appunto tra le mani), pubblicato nel 2021 e scritto da John Koenig: “The Dictionary of Obscure Sorrows”, un progetto che propone neologismi per emozioni complesse che non hanno ancora un nome specifico. Se volete, c’è anche in edizione italiana, il titolo è meno evocativo, ma descrive bene il suo contenuto: Dizionario delle tristezze senza nome. Tra queste, abbiamo trovato quella che è diventata il titolo del nostro numero 5 di Aiway: Anemoia.
Questa parola, come tutte quelle del libro, combina elementi del greco antico: potenzialmente “anemos” (vento) con un suffisso che ricorda altre parole legate alle emozioni (come “paranoia”). Secondo l’autore, l’anemoia è quel peculiare sentimento di nostalgia per un’epoca che non abbiamo mai vissuto, ed è una sensazione paradossale che si manifesta quando contempliamo per esempio le rappresentazioni del futuro nell’arte, nella letteratura oppure nel cinema. Sono sensazioni che poi in questa epoca sono diventate sempre più visuali, per esempio su Instagram, ma anche in moltissime espressioni artistiche ed editoriali: sono immagini di città futuristiche, di convivenza armoniosa tra umani e macchine, che raccontano e sognano una società trasformata dalla tecnologia, che generano in noi un sentimento di familiarità e appartenenza a qualcosa che però non abbiamo ancora sperimentato e vissuto. È come se fossimo già stati, in quel futuro, come se una parte di noi appartenesse già a quel mondo che sta ancora prendendo forma. Di fatto, proprio grazie ai film, alle serie tv, ai libri di fantascienza, in un mondo dominato dall’immaginazione tangibile ed espressa visivamente, si crea quell’effetto di déjà vu che è ormai evidente anche quando viaggiamo nella vita reale in Paesi e città famose: anche se non siamo mai andati a Parigi o a Tokyo, in ogni caso abbiamo visto migliaia di immagini di Parigi e Tokyo e quindi quando raggiungiamo “fisicamente” questi posti quasi non ci creano forti emozioni, perché sono esperienze visive già vissute. Siamo già atterrati nel futuro, lo viviamo come se fosse presente, anzi… come se fosse passato. E sempre più non sentiamo necessariamente l’esigenza di vivere nella realtà una emozione ed una sensazione, ma ci “basta” viverla digitalmente, virtualmente, attraverso uno schermo.
È quindi evidente quanto l’avvento dell’intelligenza artificiale stia accelerando questo fenomeno: le sempre più comuni e frequenti interazioni quotidiane con assistenti virtuali, chatbot e piattaforme AI stanno provocando un ponte emotivo verso quel futuro immaginato, conversando e interagendo con queste AI (ancor più con la voce, che non a caso è sempre più evoluta ed usata), stiamo già vivendo un frammento di quel domani che ci sembrava così lontano, e di cui però, paradossalmente, ne sentiamo già la mancanza, come se fosse un ricordo sfocato di un’esperienza mai vissuta.
Questa anemoia tecnologica si manifesta non solo nei confronti dei luoghi, ma anche nel modo in cui iniziamo ad immaginare le possibili relazioni umane del futuro. C’è una sorta di malinconia preventiva per la perdita di certe forme di interazione sociale che potrebbero essere rafforzate, materializzate, immaginate dall’AI influenzando persino la nostra percezione del tempo. La velocità con cui la tecnologia evolve sta comprimendo il nostro senso del futuro, facendo apparire il domani più vicino e tangibile che mai. Questa compressione temporale alimenta l’anemoia, facendoci sentire nostalgici per un futuro che sta arrivando troppo velocemente per essere completamente compreso o assimilato. E tutto sarà ancora più difficile perché siamo vicini ad un’altra rivoluzione, quella dei robot che, alimentati dall’AI, si materializzeranno nelle nostre case e nella nostra vita con una forma che non sarà più quella di una macchina, ma sempre più quella di esseri umani, e sarà progressivamente sempre più difficile trattarli e considerarli delle “semplici macchine”. Proveremo nostalgia anche nei loro confronti, sentiremo la loro mancanza quando non saranno con noi (mentre ricaricheranno le batterie?) e forse ci sentiremo più compresi (amati?) da macchine che hanno condiviso con noi momenti importanti della nostra vita, quando forse altri umani non l’hanno fatto o non lo faranno con la stessa intensità.
Le implicazioni psicologiche di questa nuova forma di anemoia sono profonde: da un lato, questo sentimento può generare ansia e incertezza, alimentando la paura del cambiamento e della perdita di controllo, dall’altro – e forse è quello che speriamo e che ricerchiamo noi, e proviamo a trasmettervelo in questo numero, semplicemente condividendo questa visione con voi – può mostrarci positivamente questa innovazione trasformandola in adattamento e spingendoci ad immaginare e costruire attivamente il futuro che desideriamo, invece che subirlo passivamente, e quindi forse a proiettarci emotivamente non solo nel passato, ma anche in futuri possibili.
La vera sfida per l’umanità potrebbe essere proprio quella di cercare ed inseguire un equilibrio tra questa nostalgia vissuta in anticipo e la necessità di rimanere ancorati al presente, di navigare tra i ricordi di un futuro immaginato e la realtà in continua evoluzione ma che forse ci piace meno rispetto all’immaginato (alla fine, anche l’universo Instagram propone a molti di apparire quello che non siamo, di vivere una vita che non è la nostra…). Mentre ci troviamo sul ciglio di una rivoluzione tecnologica senza precedenti, molti di noi stanno sperimentando una forma unica di anemoia: non più rivolta al passato, ma proiettata verso un futuro che ancora non esiste, eppure già ci manca.
In tutto questo, l’anemoia ci potrebbe anche far riflettere sul ruolo della memoria collettiva nell’era dell’AI, che appare sempre più integrata nella nostra società e alla nostra vita, e sta contribuendo a creare una memoria condivisa del futuro, un archivio di aspettative, speranze e timori che influenza il modo in cui percepiamo e costruiamo il domani, ma anche ad impegnarci in tutti i modi per preservare i ricordi, la cultura, le tradizioni, le storie del nostro passato. Anche di questo vogliamo parlare, in questo numero, perché ci sono progetti interessanti di recupero ed integrazione necessaria di queste culture e di queste umanità all’interno dell’AI: che siano le tradizioni delle comunità indigene o quelle delle ricette di cucina o dei dialetti o delle lingue che non possiamo abbandonare, ma anzi far risplendere dentro questi centri di memoria immensi (infiniti eppure non completi) che saranno sempre più la guida per l’umanità.
Un numero che parla di futuro, della nostalgia, della voglia di preservare e preservarci. Buon viaggio!
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